[26/06/2009] Consumo

La guerra della pesca (e del petrolio) tra Indonesia e Cina per le isole Spratly

LIVORNO. La marina indonesiana ha catturato il 20 giugno 8 pescherecci cinesi provenienti dalla regione autonoma del Zhuang, nel Guangxi, ed ha messo in prigione tutti gli equipaggi, accusandoli di pescare in acque territoriali indonesiane. Secondo il giornale cinese Global Times, gli indonesiani avrebbero catturato 75 pescatori cinesi.

L’incidente forse è voluto, visto che avviene alla vigilia della visita del 2 luglio in Cina del ministro degli esteri indonesiano Hasan Wirayuda , invitato dal suo collega Yang Jiechi.

Il portavoce del ministero degli esteri di Pechino, Qin Gang, ha detto che i pescherecci «pescavano in zone di pesca tradizionali cinesi al largo delle isole Nansha nel mar della Cina meridionale. In seguito a questo avvenimento, il ministri cinese degli affari esteri e l’ambasciata della Cina in Indonesia hanno fatto immediatamente le loro rimostranze presso l’ambasciata dell’Indonesia in Cina e le autorità competenti in Indonesia.
La Cina è fortemente scontenta che l’Indonesia trattenga delle barche da pesca cinesi e chiede al governo indonesiano di liberare immediatamente i pescatori e le loro imbarcazioni».

I pescatori cinesi sono considerati dai Paesi vicini un vero e proprio flagello del mare, ma probabilmente oltre al pesce, sempre più prezioso, c’è dell’altro: ci sono il petrolio e il gas che si nascondono nei fondali di queste isole che ognuno chiama con un nome diverso e ognuno rivendica: per i cinesi sono le Nasha, per i vietnamiti le Truong Sa, per gli altri le Spratly.

Si tratta di più di 600 atolli corallini, isole e isolotti, dispersi in 400.000 km2 di mare, nessuno dei quali abitato permanentemente ma sul più grande dei quali, la minuscola isola di Itu Aba di soli 0,36 km2, Pechino aveva piazzato una guarnigione militare che ha aperto la porta anche alle rivendicazioni degli altri Paesi dell’area (Cina, Taiwan, il Vietnam, il Brunei, la Malaysia e le Filippine) che hanno spostato navi e soldati a difendere i loro interessi nell’arcipelago. Solo il piccolo e ricchissimo Brunei non muove le cannoniere.

Gli Indonesiani, che fino ad ora erano stati abbastanza tranquilli, entrano in gioco a gamba tesa colpendo i già poco difendibili pescatori cinesi che depredano senza tregua e criterio i fondali e le coste di tutto il sud-est asiatico.

Non si tratta solo di scaramucce, ma del controllo di risorse naturali ed energetiche e di rotte commerciali vitali: nel 1988 la contesa per le isole portò addirittura ad uno scontro armato tra Cina e Vietnam che fece oltre 70 morti.

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