[29/06/2009] Comunicati

Fede, speranza e sostenibilità: chiuso il forum Greenaccord

FIRENZE. «Come esiste un inquinamento atmosferico, che avvelena l´ambiente e gli esseri viventi, così esiste un inquinamento del cuore e dello spirito, che mortifica ed avvelena l´esistenza spirituale»: così, lo scorso 31 maggio durante la Pentecoste, papa Benedetto XVI ha sottolineato il “nuovo corso” della chiesa cattolica riguardo all’approccio da perseguire in direzione della sostenibilità sociale e ambientale.

Come noto, l’enciclica papale in procinto di pubblicazione (“Caritas in veritate”, attesa per il 5-7 luglio o comunque prima dell’inizio del G8 – 8 luglio) vedrà tra i punti principali il governo della globalizzazione, la crisi economica, sociale e ambientale, e in generale i temi della sostenibilità dello sviluppo, con focus particolare sulla necessità di una regolazione dei mercati.

Con la presa di posizione di fine maggio, e con l’enciclica in corso di pubblicazione, il papa tedesco sembra voler in qualche modo secolarizzare l’approccio della chiesa alle questioni inerenti alla sostenibilità: se non riveste carattere di novità infatti, il fatto che la comunità cattolica estenda le sue osservazioni alla moderna concezione del rapporto tra l’uomo e l’ambiente (solo per riferirci al recente passato, basta pensare agli appelli alla «conversione ecologica» lanciati da papa Woityla fin dal 2001), è invece nuovo l’approccio adottato. Un approccio che, in poche parole e ovviamente cercando di trattare in via sintetica un argomento molto complesso, può essere definito appunto come “secolarizzato”.

Si affaccia infatti, ed è ben visibile nel suo apparire, una concezione più “scientifica” dell’analisi della sostenibilità anche nel mondo cattolico. Lo dimostra, tra le altre cose, il documento che la Conferenza episcopale italiana (Cei) ha prodotto il primo maggio in vista della 4° giornata per la salvaguardia del creato, che si terrà a settembre, e che è stato riportato nel corso del “6° Forum dell’informazione cattolica per la salvaguardia del creato”, conclusosi ieri a Pistoia: secondo il documento della Cei, infatti, «i rapporti tra l’attività umana e i cambiamenti climatici, data la loro estrema complessità, devono essere opportunamente e costantemente seguiti a livello scientifico, politico e giuridico, nazionale e internazionale. Il clima è un bene che va protetto e richiede che, nei loro comportamenti, i consumatori e gli operatori di attività industriali sviluppino un maggior senso di responsabilità. Il principio di precauzione ricorda che – anche laddove la certezza scientifica non fosse completa – l’ampiezza e la gravità delle possibili conseguenze (molte delle quali si stanno già manifestando) richiedono un’azione incisiva. Una tempestiva riduzione delle emissioni di “gas serra” è, dunque, una precauzione necessaria a tutela delle generazioni future, ma anche di quei poveri della terra, che già ora patiscono gli effetti dei mutamenti climatici».

All’interno dello stesso documento, che riporta anche parti del “Compendio della dottrina sociale della chiesa” ed è quindi da considerarsi espressione dell’autorità religiosa nel suo complesso e non solo della Cei (spesso le due posizioni, come noto, non coincidono), si esorta anche alla necessità di un «profondo rinnovamento del nostro modo di vivere e dell’economia, cercando di risparmiare energia con una maggiore sobrietà nei consumi, per esempio nell’uso di automezzi e nel riscaldamento degli edifici, ottimizzando l’uso dell’energia stessa – a partire dalla progettazione degli edifici stessi - e valorizzando le energie pulite e rinnovabili».

Anche l’impostazione dello stesso Forum dell’informazione cattolica, come ha già spiegato Andrea Masullo il 25 giugno nella sua intervista a greenreport, ha avuto come tema centrale una questione che per certi versi può essere concepita come teorica, ma che ha in realtà significative componenti pratiche, e cioè il rapporto tra il tempo umano e quello del “creato” (cioè “dell’ambiente”, in termini non religiosi). Masullo ha definito infatti «la velocità dell’uso (anzi dello sperpero, a questi ritmi) delle risorse naturali, o l’utilizzo di energie non rinnovabili» come «manifestazioni dell’alterato rapporto tra il tempo umano e quello della natura». E in chiusura del Forum lo stesso direttore scientifico di Greenaccord ha citato il dato per cui «la rapidità alla quale l’economia mondiale estrae risorse dalla natura e vi disperde gli scarti ha portato in questi ultimi anni a prelevare il 35% in più di quanto la biosfera riesce a rigenerare» e sostenuto la «centralità della concezione del tempo per la comprensione delle attuali crisi economiche, sociali ed ecologiche». L’obiettivo indicato è il superamento della «frenesia produttivistica che ci fa misurare tutto in quantità e non in qualità», e il riconoscimento della «semplice verità che ciò che è ecologicamente sostenibile non può che essere anche economicamente necessario, e ciò che non è sostenibile solo apparentemente può sembrare economicamente conveniente».

Come si vede, i temi trattati non sono dissimili da quelli tipici dell’analisi “scientifica” (nel senso comune del termine) della sostenibilità: l’alterato rapporto tra il tempo dell’uomo e quello della natura può essere tradotto in termini termodinamici come una “eccessiva accelerazione dell’entropia” che l’attività antropica causa, portando ad una dissipazione dell’energia e della materia disponibili molto maggiori di quelle che sarebbero sufficienti per il benessere. L’esortazione al «superamento della frenesia produttivistica che ci fa misurare tutto in quantità e non in qualità» può essere agevolmente letta come una critica agli attuali indicatori macroeconomici, e alla loro incapacità di misurare, oltre alla crescita, anche lo sviluppo e il benessere umano ed ecologico, e così via. E desta anche sincero compiacimento l’accenno che la Cei fa, nel suo documento, al principio di precauzione, fulcro scientifico dell’attivazione che la comunità globale ha intrapreso al fine di contrastare/mitigare il surriscaldamento globale, pur in assenza di una “pistola fumante” che quantifichi l’esatta correlazione tra la crescita della temperatura e il tasso di gas climalteranti presenti nel sistema terra-acqua-atmosfera.

Queste le assonanze tra l’ambito fideistico e quello scientifico del percorso verso la sostenibilità, che testimoniano appunto, per lo meno nelle opinioni che abbiamo qui trattato, un percorso di secolarizzazione dell’approccio alle tematiche ambientali (e quindi sociali, e quindi economiche) da parte del mondo cattolico. Secolarizzazione che non va però intesa come un’apertura incondizionata al «tecnicismo», che anzi viene additato come una delle componenti che hanno condotto la società umana verso la perdita del “kairos” (il tempo del creato) a favore del dominio del “chronos”, cioè il tempo umano. Ritorneremo quindi nei prossimi giorni su questo aspetto, e in generale su tutti quegli ambiti che costituiscono fattore di divergenza tra un approccio alla sostenibilità di natura prettamente scientifica, e uno più improntato alla spiritualità.

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