[30/06/2009] Comunicati

Trasparenza dell’informazione ambientale in Cina

ROMA. L’Istituto degli affari pubblici e ambientali (IPE) di Pechino e il Natural Resources Defense Council (NRDC) degli Stati Uniti hanno reso pubblico alcuni giorni fa il primo Indice di trasparenza dell’informazione sull’inquinamento (PITI), ovvero la classifica non tanto della qualità quanto della trasparenza ambientale in 113 diverse città cinesi relativa all’anno 2008.

Si tratta di un documento davvero unico nel suo genere, in Cina. Perché afferma, per la prima volta appunto, che è interesse primario del popolo cinese non solo avere un ambiente migliore, ma anche conoscere la verità sulla qualità dell’ambiente in cui vivono. Il PITI, dunque, fornisce su internet o su altri canali dati sulla valutazione dell’impatto ambientale delle imprese, sulla violazione delle regole ambientali da parte di chiunque, sugli atti realizzati per prevenire le violazione migliorare le regole violate e altri cinque indicatori in grado di misurare il tasso di “disclosure”, di trasparenza appunto dell’informazione ambientale.

Le 113 città cinesi esaminate non ne escono affatto bene. In un punteggio da 1 a 100 che misura il grado di trasparenza dell’informazione ambientale, la media è stata intorno al 30. Largamente insufficiente. Una mancanza di trasparenza, peraltro, del tutto generalizzata: solo 4 città su 113 – Ningbo, Hefei, Fuzhou e Wuhan – hanno raggiunto il punteggio di 60: ovvero la sufficienza. In singoli settori alcune città hanno raggiunto livelli un po’ più elevati – intorno al 90 – ma decisamente è ancora troppo poco. Imprese e pubbliche autorità tendono più a coprire che ad aprire. Aumentando sia il rischio sia la percezione del rischio ambientale in Cina.

Tuttavia – sostengono alcuni – il fatto stesso che le autorità di Pechino abbiano dato il proprio consenso all’elaborazione dell’Indice di trasparenza dell’informazione sull’inquinamento – per di più in collaborazione con un gruppo indipendente straniero – indica che quella della trasparenza non è la domanda di gruppi minoritari, ma sta diventando cultura di governo. È un bel passo avanti, che consentirà alla Cina di avvicinare gli standard – peraltro non sempre immacolati – dei paesi liberi.

Indubbiamente è un piccolo segno dei tempi. Un indicatore che il governo cinese sta rapidamente e radicalmente cambiando atteggiamento rispetto ai problemi ambientali, locali e globali. Tuttavia c’è da chiedersi come la richiesta di assoluta trasparenza sui temi ambientali possa conciliarsi con la mancanza delle libertà democratiche generali. Se la stampa non è libera, se i cittadini non possono liberamente associarsi come è possibile realizzare la piena trasparenza in materia ambientale e raggiungere un alto score nell’Indice di trasparenza sull’informazione sull’inquinamento?

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