[01/07/2009] Energia

Accordo raggiunto: è Abu Dhabi la sede di Irena. Direzione generale alla francese Pelosse

FIRENZE. E Abu Dhabi fu. Come anticipato la scorsa settimana (vedi link a fine articolo), l’incontro tenutosi il 29 giugno a Sharm el Sheik (Egitto) ha portato alla definizione della capitale degli Emirati arabi uniti come sede della nuova agenzia mondiale per le rinnovabili (Irena: international renewable energy agency), fondata nel gennaio 2009 e comprendente ad oggi oltre 130 paesi, tra cui Stati Uniti, Giappone e Australia che hanno appena aderito insieme ad altre 20 nazioni.

La presidenza è stata affidata a Helene Pelosse, canadese naturalizzata francese, in precedenza direttrice aggiunta per l’ufficio affari internazionali del ministero dell’Ecologia del governo di Parigi. Pelosse, responsabile della stesura del piano francese per le energie rinnovabili, è stata anche capo-delegazione per la Francia in fase di approvazione del pacchetto clima-energia dell’Unione europea.

Il candidato francese ha prevalso su quelli di altri paesi Ue (Danimarca, Grecia, Spagna), mentre come detto la sede dell’agenzia è stata istituita nel distretto di Abu Dhabi, e più precisamente in quella Masdar city che è in via di costruzione e sarà la prima new-town al mondo ad emissioni zero. La capitale degli Emirati ha prevalso sulle altre due candidate, cioè Bonn (dove avrà sede l’ufficio distaccato per l’innovazione e la tecnologia) e Vienna, che ospiterà l’ufficio per le relazioni con le altre organizzazioni internazionali.

Come è evidente, è stato raggiunto un compromesso tra le pressioni esercitate, per ospitare l’agenzia, dai paesi Ue, e quelle avanzate dagli Emirati, che avevano messo in campo ingenti forze politiche ed economiche (22 milioni di dollari l’anno fino al 2015 all’agenzia, oltre a prestiti per 50 milioni l’anno ai paesi in via di sviluppo per sostenere la loro evoluzione verso le rinnovabili) per raggiungere l’obiettivo: e quindi la presidenza è andata all’Europa, la sede centrale agli Emirati.

Come già spiegato la scorsa settimana, l’affidamento a un paese in via di sviluppo (e tra i principali esportatori di petrolio) della sede dell’agenzia vuole essere di stimolo al radicamento dell’energia pulita nei paesi emergenti. E l’apparente incongruenza rappresentata dallo stabilire la sede dell’agenzia per le rinnovabili in un paese petrolifero svanisce davanti alla considerazione che la scelta è stata condotta in una ottica di “discontinuità” con il passato.

In questo senso, almeno secondo l’enfatico comunicato emesso dal ministro francese per l’Ecologia, Jean Louis Borlòo, va anche la scelta di Pelosse per la direzione: «la nomina di una donna a capo di Irena, e la scelta di un paese del sud (cioè in via di sviluppo, nda), petrolifero, per la sede centrale sono simboli del fatto che questa agenzia è quella di tutte le riconciliazioni: le energie rinnovabili non sono più il campo di sperimentazione di un gruppo ristretto di paesi ma una ambizione collettiva (..). Irena sarà il braccio armato della transizione energetica».

Secondo l’agenzia Adnkronos il ministro degli Esteri dello stato del Golfo, Abdullah Bin Zayed Al Nahyan, ha parlato di «grande traguardo per gli Emirati Arabi Uniti», aggiungendo che il risultato raggiunto «è la testimonianza della forza dei rapporti che siamo riusciti a instaurare mediante la nostra campagna. Per noi è di vitale importanza il fatto di poter offrire a Irena una valida proposta che favorisca il raggiungimento degli obiettivi prefissati mediante un impegno analogo tra nazioni in via di sviluppo e nazioni avanzate».

Va ribadito, però, quanto già spiegato: a parte la (ovvia) enorme incidenza dei fossili sulla locale torta energetica (ancora al 2020 è prevista una quota massima delle Fer del 5-7%), gli Emirati hanno recentemente stipulato con Stati Uniti e Francia un accordo per la costruzione di centrali nucleari nel proprio territorio, al fine di fronteggiare l’aumento della domanda energetica che è stimato in circa 40 Gw di potenza installata al 2017 rispetto all’attuale. Avevamo già riportato, a questo proposito, le dichiarazioni a titolo personale di Eric Martinot, collaboratore del Worldwatch institute, per cui il fatto che «gli Emirati abbiano espresso l’intenzione di diventare un “modello” per la promozione dell’energia nucleare» solleva il dubbio se «Irena sarà un effettivo fattore di cambiamento (ad esempio promuovendo le rinnovabili invece del nucleare) o solamente un’appendice all’agenda nucleare».

E qui sta il problema principale: ad ospitare l’agenzia per le rinnovabili sarà un paese che sta entrando nella scia nucleare di Francia e Usa. E questo, se in teoria non dovrebbe significare niente, in termini di realpolitik assume valore ben diverso: l’agenzia rischia infatti non solo di essere debole politicamente, ma anche di avere poca libertà d’azione, di ricevere limitati finanziamenti, di non godere di un sufficiente apporto dagli altri organismi internazionali, e in ultima analisi di non essere caratterizzata da una sufficiente unanimità d’intenti.

Anche se la provenienza francese della neo-direttrice non rassicura, in questo senso va comunque riportato quanto da lei affermato al Worldwatch institute in un’intervista rilasciata il 25 giugno, prima della sua elezione: «Irena deve occuparsi di nucleare? No. abbiamo già un’organizzazione internazionale che si occupa del nucleare, e io non penso che Irena debba averci a che fare (..). Non avrebbe senso: l’energia nucleare è tutta un’altra storia, è una tecnologia matura, ha i suoi rischi, e c’è la questione delle scorie. Diversamente dalle rinnovabili, non è una soluzione universale (..). L’idea che Irena sarebbe macchiata dal nucleare è semplicemente sbagliata: anzitutto, il nucleare non è nello statuto. Secondo, c’è già una organizzazione internazionale che si occupa di energia nucleare. Non c’è modo che Irena vada ad occuparsi di nucleare, certamente non se io sarò eletta».

In seguito all’avvenuta elezione della Pelosse vedremo ora, e soprattutto nei prossimi anni, se quel “certamente” reggerà alla prova dei fatti.

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