[02/07/2009] Consumo

Superfrutta, Croce: «Per vera tutela consumatore: tracciabilità reale e filiera corta»

FIRENZE. Per un approfondimento sul tema della ´fine dell´era della superfrutta´ di cui trattiamo anche in un altro articolo di oggi (vedi link e giornale), abbiamo contattato Beppe Croce (Nella fotot), responsabile della sezione Ruralità di Legambiente Toscana.

Croce, si chiude l’era della superfrutta. Notizia positiva?

«Se siamo contrari all’uniformità, e sosteniamo la biodiversità anche in agricoltura, non possiamo certo essere contrari al nuovo regolamento. Comunque, il rischio che in conseguenza delle nuove norme il consumatore sia meno tutelato esiste, e in questo senso ha ragione Carlo Petrini che su “Repubblica” parla dell’esigenza di tracciabilità. Poi, la tracciabilità non è una garanzia in sé, perchè non basta sapere (riferendosi al consumo di carne) se un vitello viene dalla Francia o da altri paesi, ma occorre sapere soprattutto dove vive e cosa mangia questo vitello. Inoltre, con la sola indicazione geografica si rischia l’instaurarsi di una forma di “razzismo” del consumatore: solo per fare un esempio, potrebbero essere favoriti, nella scelta, prodotti di origine belga, ma non prodotti provenienti dalla Romania.

L’unica vera garanzia è il mercato di vicinanza, cioè la filiera corta, i mercatali, eccetera: recuperare un rapporto di fiducia tra venditore e consumatore, puntare alla filiera corta e alla trasparenza».

Ma come si concilia questo auspicio con la sempre maggiore incidenza della grande distribuzione?

«Esigendo dalla Grande distribuzione tre cose. Anzitutto una tracciabilità più cogente: non basta sapere se un vitello è francese, come detto: occorre sapere, se non è possibile indicare direttamente il tipo di allevamento (estensivo o intensivo) praticato, almeno lo stabilimento da cui proviene.

Poi è necessario che la Gd privilegi maggiormente il biologico: ciò diminuisce, tra le altre cose, il rischio di inganni, poiché le certificazioni biologiche sono, tra tutte, tra le più cogenti. Poi è chiaro, in linea generale, che con l’aumento dei passaggi di vendita aumenta anche il rischio di truffa o comunque diminuisce il valore della tracciabilità, e questo rischio nella grande distribuzione c’è.

Infine, chiederei alla Gd la creazione di una vera “sezione prodotti locali” sugli scaffali. Si sente dire che questa misura sarebbe lesiva della concorrenza, ma qui si tratta di creare uno spazio sullo scaffale, poi è il consumatore a scegliere. E non sto parlando di incentivazioni o altro, ma solo di creare sullo scaffale uno spazio destinato a prodotti da filiera corta.

E comunque, è vero che la grande distribuzione è sempre più pervasiva, ma ancora più inquietante è che la stessa produzione europea è sempre più in mano a poche multinazionali dell’alimentare. Ad esempio, nell’est europeo (es. Polonia, Romania), i molteplici piccoli allevamenti suinicoli precedentemente diffusi sono stati in gran parte assorbiti dalla Smithfield, multinazionale del suino, col risultato di una loro trasformazione in allevamenti intensivi, a scapito della qualità alimentare umano e del benessere e della diversità animale.

A questo proposito, la Coldiretti paventa «rischi di invasione di prodotti non controllati dall’est», sostenendo che potranno arrivare prodotti brutti ma ottimi, ma anche prodotti brutti e pessimi.

«Sicuramente il rischio c’è. Mi chiedo: la questione del calibro dell’ortofrutta è garanzia di qualità? Lo trovo molto discutibile: per esempio, il calibro non mi dice niente su quanti pesticidi sono stati usati nella coltivazione del frutto. Ma questo è un punto fondamentale, poiché di solito i pesticidi si usano proprio per avere la frutta “bella”, senza ammaccature o irregolarità, che sono causate in primo luogo proprio dai parassiti.

Da questo punto di vista non ci sarà un grande cambiamento riguardo alla frutta (contaminata o no) che mangiamo, anzi ripeto che spesso i pesticidi sono usati proprio per motivi essenzialmente legati all’estetica del prodotto finale. Quindi, l’unica barriera seria all’arrivo di prodotti contaminati è quella della filiera corta e della tracciabilità intesa nel senso di cui sopra».

Torna all'archivio