[03/07/2009] Comunicati

Cartolina al G8: bisogno estremo di cambiare il modello economico

ROMA. Il percorso che ci sta portando a Copenaghen alla 15° Conferenza delle Parti della Convenzione Quadro sui Cambiamenti Climatici, mirato a chiudere il nuovo Trattato Globale di riduzione delle emissioni di gas climalteranti, vedrà la prossima settimana il meeting del G8 nel nostro paese, un altro importante appuntamento verso la tappa finale di dicembre nella capitale danese. Sempre di più si stanno producendo rapporti ed analisi sulla straordinaria opportunità che la crisi ambientale, climatica, economica e finanziaria ci sta fornendo per passare decisamente ad un’economia decarbonizzata, un’economia che, come viene documentato da tali rapporti, condurrebbe anche ad una maggiore occupazione (tra gli ultimi, quello predisposto dalla Heinrich Boll Foundation e dal Worldwatch Institute, dal titolo “Towards a transatlantic Green New Deal : the path to a green economy that will fight climate change and create quality jobs” e colgo l’occasione per suggerire ai lettori di seguire sul sito del Programma Ambiente dell’ONU l’apposito ambito definito Green Economy www.unep.org/greeneconomy).

Il messaggio che il mondo scientifico e culturale sta fornendo in continuazione a noi tutti e, in primis, ai decisori politici ed al mondo economico, è sintetizzabile in queste poche righe: «è necessario voltare pagina al più presto, scienza e tecnologia possono già fornire un contributo straordinario per questo, non possiamo aspettare ancora».

La comunità scientifica internazionale ci ha dimostrato chiaramente di come tutto è cresciuto, materialmente e fisicamente nell’avanzamento della specie umana alla progressiva “colonizzazione” del Pianeta; questa crescita ha permesso standard di vita che i nostri antenati non avrebbero nemmeno potuto immaginare, ma ha anche straordinariamente danneggiato i sistemi naturali, grazie ai quali riusciamo a vivere. La capacità che i sistemi naturali hanno di mettere a nostra disposizione servizi e risorse, di rigenerarsi e di assimilare i nostri rifiuti è, da tempo, messa a dura prova dal nostro pesantissimo impatto, diretto e indiretto.

Il modello economico che domina il mondo (profondamente basato sullo spreco delle risorse, sull’usa e getta e sull’utilizzo indiscriminato dei combustibili fossili come fonte di energia) che pure ha recato notevole benessere a una parte dell’umanità, è oggi in evidente difficoltà. Siamo entrati nel nuovo secolo e abbiamo un bisogno estremo di cambiare il modello economico; necessitiamo di un’economia ecologicamente e socialmente “sostenibile” che consenta lo sviluppo umano senza distruggere le basi su cui poggia e che riesca a offrire a tutti una vita migliore (oggi come sappiamo 2,8 miliardi di persone vivono con meno di due dollari al giorno; 1,2 miliardi con meno di un dollaro al giorno e 1,1 miliardo di persone sono denutrite).

Questa è la grande sfida che abbiamo di fronte. Affrontarla e risolverla significa affrontare una transizione epocale, di portata pari a quella della Rivoluzione Industriale e cioè di quel processo che ci ha portato i dilemmi che oggi dobbiamo assolutamente risolvere.

I problemi non possono essere risolti dallo stesso atteggiamento mentale che li ha creati, diceva il grande fisico Albert Einstein.
In un bellissimo rapporto al Club di Roma, edito da Mondadori nell’ormai lontano 1979, “Imparare il futuro” (il titolo originale era “No Limits to Learning”) gli autori James Botkin, Mahdi Elmandjra e Mircea Malitza scrivevano: “L’umanità sta entrando in un periodo di alternative estreme. Mentre un’epoca di progresso scientifico e tecnologico ci ha portato conoscenze e poteri senza precedenti, assistiamo all’emergere improvviso di una “problematica mondiale” – un groviglio gigantesco di problemi, appartenenti ai più diversi settori, come quelli dell’energia, della popolazione e degli alimenti - che ci sfidano con la loro complessità inaspettata. Tanto una catastrofe totale dell’umanità quanto una realizzazione umana senza precedenti sono entrambe possibili. Quale sarà l’alternativa che finirà per sopravvenire dipende tuttavia da un altro fattore della massima importanza – anzi decisivo: la capacità umana di capire e di agire … Bisogna arrivare a capire almeno due punti di importanza cruciale. Uno è che l’umanità nel suo insieme si sta rapidamente dirigendo verso un punto critico in cui non sarà più consentito di sbagliare. Il secondo è che dobbiamo rompere il circolo vizioso in cui da una parte le complessità seguitano ad aumentare, e dall’altra la comprensione ritarda sempre più mentre sarebbe ancora possibile esercitare un’influenza e un certo controllo sul nostro destino e sul nostro futuro …

Il divario umano è la distanza fra la complessità sempre maggiore e la nostra capacità di farvi fronte. Aumentare le conoscenze e la capacità di azione per confrontarsi con una situazione complessa (determinata soprattutto, per quasi tutta la storia, dai fenomeni naturali) è stato sempre impegno tipicamente umano. Una differenza essenziale dei nostri tempi è che l’attuale complessità è prevalentemente causata dalle attività umane. Diamo a tale situazione il nome di divario umano perché si tratta di una dicotomia tra una complessità sempre maggiore derivata dalle nostre stesse attività e uno sviluppo sempre insufficiente delle nostre capacità. Per noi apprendimento significa un approccio, sia alla conoscenza sia alla vita, che esalta l’iniziativa umana. Esso comprende l’acquisizione e la pratica di nuove metodologie, di nuove tecniche, di nuovi atteggiamenti e di nuovi valori, necessari per vivere in un mondo di cambiamenti. Apprendimento è il processo con cui ci si prepara a far fronte a situazioni nuove.”

Amory Bloch Lovins (Nella foto) e Hunter Sheldon Lovins sono due figure che hanno colto molto bene la sfida presente nella frase di Einstein e nelle proposte dell’apprendimento innovativo presentato dal Club di Roma. Non è infatti un caso che uno dei loro libri più famosi, scritto nel 1995 insieme a Ernst Ulrich von Weizsacker (presidente del Wuppertal Institut, un noto centro di ricerca sulla sostenibilità dello sviluppo), dal titolo “Fattore 4. Come ridurre l’impatto ambientale moltiplicando per quattro l’efficienza della produzione” sia proprio un rapporto al Club di Roma.

I Lovins hanno fondato nel 1980 il Rocky Mountain Institute nel Colorado, uno dei centri di analisi e di proposte più innovativo nel campo dell’efficienza tecnologica ed energetica (vedasi www.rmi.org) .
Insieme a Paul Hawken hanno scritto nel 1999 il famoso volume “Capitalismo naturale” (edizioni Ambiente, vedasi il sito www.natcap.org).

La teoria del capitalismo naturale si basa su tre principi:

1.guadagnare il tempo necessario per affrontare le crescenti sfide della gestione del nostro Pianeta, impiegando tutte le risorse in modo più efficiente e produttivo;

2.riconsiderare il modo in cui produciamo i beni e forniamo i servizi, utilizzando approcci come la biomimesi e “dalla culla alla culla”;

3.gestire le istituzioni in modo che restituiscano valore al capitale umano e a quello naturale.

E’ necessario che le nostre società vengano decisamente indirizzate verso un’economia basata su questi principi ed è indispensabile che qualsiasi grande meeting internazionale si muova in questa direzione.
Il G8 de L’Aquila sarà capace di dare segnali concreti?

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