[03/07/2009] Rifiuti

Il G8 nel trash vortex dimenticato degli oceani

LIVORNO. Tutte le conferenze su mari e oceani che si sono succedute in questi ultimi tempi e due importanti dossier - l’imponente “Marine litter: a global challenge” del Programma Onu per l’ambiente (Unep) e il più snello e militante “Plastic Debris in the World’s Oceans” di Greenpeace - mettono in evidenza un problema poco conosciuto, ma che riguarda tutta la comunità internazionale e la difesa della negletta biodiversità marina che comprende “solo” il 90% delle specie viventi. I rifiuti scaricati a mare volontariamente o incidentalmente, le colossali e poco indagate isole di spazzatura plastica create dai vortici oceanici in tutti i mari del mondo, parlano infatti anche del nostro modello di consumo e dell’incapacità di chiudere il cerchio del ciclo di vita della plastica. «La stessa cosa che rende gli oggetti in plastica utili per i consumatori, la loro durata e la stabilità – spiega Greenpeace – li rende anche un problema per gli ambienti marini».

Quel che noi vediamo gettato sulle spiagge è la minima parte del materiale plastico che finisce in mare: quegli oggetti del nostro distratto usa e getta quotidiano e dell’obsolescenza programmata dei nostri consumi sono solo i segni più visibili di un problema molto più grande, che può essere trattato solo dai Paesi più ricchi e sviluppati che nei prossimi giorni si incontreranno all’Aquila al G8. Un problema che si sta sempre più profondamente intrecciando alle due crisi ambientali planetarie che il pianeta si trova ad affrontare: quella climatica e quella della biodiversità.

In questi anni, anche in Italia con le varie “operazioni spiagge pulite” promosse da Legambiente e da altre associazioni, una grande quantità di rifiuti è stata rimossa dalle spiagge del mondo, ma probabilmente si tratta solo di una minima frazione di quello che l’oceano accumula in zone di mare dove i venti e le correnti sono deboli, formando “isole-continenti” di spazzatura che nessuno rimuove, un concentrato di poltiglia di plastica e rifiuti molto più ingombranti che stanno diventando un problema per l’ecosistema planetario.

Il G8 dell’Aquila potrebbe dare in questo senso un segnale non solo affrontando il problema dell’inquinamento del Mediterraneo (strettamente legato alla questione energetica e del modello industriale ed economico) ma affrontando quello che viene chiamato l’"Eastern Garbage Patch" o North Pacific sub-tropical gyre che, con una lenta spirale che trascina i rifiuti oceanici, copre una vasta area del Pacifico nella quale l´acqua circola in senso orario. «I venti sono leggeri. – spiega Greenpeace – Le correnti tendono a spingere ogni materiale galleggiante all’interno dell’area centrale a bassa energia del vortice. Ci sono alcune isole in cui spiaggia il materiale galleggiante. Tutto il resto rimane li, nel gyre, in sorprendente quantità stimata in 6 chili di plastica per ogni chilo di plancton naturale. L´equivalente di un´area delle dimensioni del Texas sta girando lentamente intorno, come un orologio».

Questo gigantesco frullatore di rifiuti (con trash vortex minori accanto che seguono le correnti oceaniche e che è uno dei 5 grandi “gyre” del pianeta) è nel bel mezzo dell’oceano davanti agli Usa (e alle Hawaii tanto care ad Obama), al Canada, al Giappone, alla Russia, cioè alla metà più ampia e potente del G8 che guarda impotente questo concentrato dimenticato e misterioso di spazzatura, mentre uccide uccelli ed altri animali e sconvolge lentamente una parte vastissima di oceano sempre più in crisi ecologica, come ci dice la stessa Carta di Siracusa approvata solo qualche settimana fa dai ministri dell’ambiente del G8.

«Molti uccelli marini e loro pulcini sono stati trovati morti – spiega Greenpeace - i loro stomaci erano pieni di oggetti di plastica di medie dimensioni come bottiglie, corde, accendini e palloncini. Una tartaruga trovata morta alle Hawaii aveva più di un migliaio di pezzi di plastica nel suo stomaco e intestino. È stato stimato che oltre un milione di uccelli marini e di un centinaio di migliaia di mammiferi marini e tartarughe marine vengono uccisi ogni anno da ingestione di plastica o da impiglia mento».

Gli ambientalisti sottolineano che il fenomeno ha innescato un circuito venefico: «La plastica può agire come una sorta di "spugna chimica". Può concentrare molte delle più dannose sostanze inquinanti degli oceani del mondi: gli inquinanti organici persistenti (Pop). Quindi, qualsiasi animale mangi questi pezzi e detriti di plastica sarà anche lui altamente tossico ed inquinante».

Ma il G8 che si occupa delle tre crisi planetarie farebbe bene anche a tener di conto di un altro aspetto che viene fuori ad ogni summit internazionale anche per le sue sempre più pesanti ricadute economiche: quello delle specie invasive. Infatti, la plastica galleggiante può colpire gli ecosistemi marini in modo sorprendente, fornendo una superficie adatta alla sopravvivenza di alcuni organismi. piante ed animali possono essere trasportati attaccati alla plastica molto lontano dal loro normale habitat. Un autostop o per escursionisti oceanici che possono diventare invasori alieni, sgraditi e dannosi di nuovi habitat, a spese delle specie autoctone, in particolare per quelle endemiche delle isole che sembrano le più a rischio di estinzione. Se è vero che il 70% della spazzatura plastica alla fine affonda, questo magari è un motivo in più per intervenire con una colossale opera di pulizia internazionale che forse sarebbe più necessaria e gradita (e meno costosa) di certi costosissimi interventi di “polizia internazionale”.

Solo nel Mare del Nord, i ricercatori olandesi hanno contato circa 110 pezzi di rifiuti per ogni chilometro quadrato di fondale marino, più o meno 600.000 tonnellate di plastica sul fondale del solo Mare del Nord. Un lento soffocamento della vita marina che avviene nel mistero dei fondali e nelle dimenticate vastità degli oceani. Una crisi ecologica che ha bisogno della nostra consapevolezza di individui-consumatori, di un maggior rispetto del mare da parte di armatori, industrie, petrolieri e pescatori, ma anche dei grandi del mondo che dovrebbero mettere nella loro agenda la pulizia del mare, investendo risorse e tecnologie già disponibili, magari convertendo mezzi destinati alla guerra alla difesa degli oceani e ad un “Piano Marshall” per recuperare e riciclare le isole di rifiuti, un piano del quale tutti gli esseri viventi del pianeta ringrazierebbero, una volta tanto, il G8.

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