[03/07/2009] Energia

Congo: sabbie bituminose e olio di palma, il Gsott8 chiede all’Eni di bloccare i progetti

LIVORNO. Al Gsott8 in corso in Sardegna la Heinrich Böll Foundation la Campagna per la riforma della Banca mondiale (Crbm), l’associazione congolese Rencontre pour les droits de l´homme e l´Ong congolese Rencontre pour les droits de l´homme (Rpdh) hanno chiesto all’Eni di bloccare tutti i suoi progetti per lo sfruttamento delle sabbie bituminose e per la produzione di olio di palma nel Bacino del Congo. Le tre organizzazioni hanno presentato un dossier che porta la firma di molte Ong del mondo e che mette i piedi nel piatto più ricco e controverso che una delle aziende leader del Paese ospitante, l’Italia, sta mettendo in tavola in una delle aree più ricche di biodiversità e di foreste del pianeta.

La questione sollevata è di non poco conto: quale è la distanza che passa fra le promesse di aiuto, sostenibilità e rispetto dell’ambiente e della salute delle persone declamate ad ogni G8 e i fatti e i progetti reali? Una domanda molto scomoda se viene dalle profondità delle foreste del Congo, proprio mentre i grandi del pianeta e i Paesi emergenti si accingono a discutere di lotta ai cambiamenti climatici ed accesso equo e sicuro alle risorse energetiche per tutti. Due questioni che dovrebbero portare alla salvaguardia del Bacino del Congo e non certo ad un suo stravolgimento di tipo canadese per quanto riguarda le sabbie bituminose o di tipo indonesiano per quel che riguarda le piantagioni di olio di palma.

Nel 2006 l’Eni ha firmato un accordo “ombrello” con il regime del Congo, con investimenti per 3 miliardi di dollari tra il 2008 e il 2012. L’intesa prevede l’esplorazione delle sabbie bituminose, la produzione di olio di palma per alimentazione e biocombustibili e la costruzione di un impianto a gas da 350/400 MWvi. L’Eni è in Congo dal 1968 ed ha visto passare, tenendo buoni rapporti con tutti, i governi filo-occidentali, quelli marxisti-leninisti e poi quelli liberisti (capeggiati dagli ex comunisti). Fino al 2007 ha operato offshore, mentre ora gestisce anche il giacimento onshore di M’Boundi.

«I vari accordi tra l’Eni e il governo – sottolineano le Ong - on sono stati resi noti e, nel caso delle sabbie bituminose e della palma da olio, le stesse località interessate rimangono ignote. Le ricerche sul campo condotte in loco da esponenti della società civile congolese e internazionale hanno rivelato una quasi totale mancanza di conoscenza di notizie su progetto, anche da parte delle comunità che sarebbero potenzialmente impattate dallo sfruttamento delle sabbie bituminose e dall’impianto elettrico vicino a M’Boundi e dal terminale petrolifero del Paese sito a Pointe-Noire».

Secondo Elena Gerebizza della Crbm «´L´ENI e il governo italiano, azionista di maggioranza dell´Eni, stanno anteponendo i profitti alla tutela dell´ambiente e alla lotta contro la povertà. Come presidente di turno del G8 che ha l´obiettivo di preservare il Bacino del Congo e promuovere partnership per lo sviluppo dell´Africa, dal momento che sostiene un progetto come questo l´Italia sta minando la sua credibilità internazionale». Il documento presentato al Gsott8 da una ventina di organizzazioni di tutto il mondo spiega che «Nella Repubblica del Congo la compagnia petrolifera italiana Eni sta attualmente pianificando un investimento multimiliardario nelle sabbie bituminose, nella palma da olio di palma per alimentazione e biodiesel e nella produzione di energia elettrica derivante dal gas. Quello sulle sabbie bituminose sarebbe il primo progetto in proposito mai intrapreso in tutta l´Africa, mentre l´altro sui biocombustibili - che prevede la coltivazione di palma da olio su larga scala per la produzione di combustibili liquidi - sarebbe uno dei più grandi del continente. Entrambe le opere pongono la questione di quanto una compagnia di un Paese del G8, come l’Eni, e un governo come quello italiano, che quest’anno detiene la presidenza dello stesso G8 e ha la maggioranza relativa delle azioni dell’Eni, siano impegnati a combattere con serietà e impegno i cambiamenti climatici e a migliorare l´accesso alle fonti energetiche, in particolare per ciò che concerne gli investimenti in zone “sensibili” da un punto di vista ambientale e in Paesi in via di sviluppo con minime salvaguardie sociali e ambientali».

Per Christian Monze´o, di Rpdh «Da parte dell´Eni non c´é stata alcuna seria consultazione con le comunità locali, il che contraddice ampiamente le stesse linee guida sui diritti umani della compagnia italiana».

Il Congo, nonostante galleggi sul petrolio, è uno dei Paesi più poveri del mondo «con una storia di corruzione e conflitti causati proprio dal settore petrolifero – spiegano le Ong - Il Paese non ha adeguate normative ambientali e la capacità di metterle in atto. Dato questo contesto di governance insufficiente e di enorme rilevanza ambientale, e vista la prospettiva di danni irreparabili per le comunità, come farà l’Eni a valutare e gestire il rischio sulla base di una situazione come questa? L’Eni è per il 30% di proprietà dello Stato italiano. Il G8 si stanno attualmente riunendo in Italia, dove i ministri dell’Energia hanno affermato che “la chiave per il futuro dei nostri Paesi è riuscire a gestire le questioni degli investimenti energetici, dell’accesso e della disponibilità dell’energia e dei cambiamenti climatici, questioni che sono collegate tra loro”i. Il G8 e gli altri grandi produttori di energia hanno inoltre promesso una “azione risoluta” per aiutare il quarto di popolazione mondiale che non ha una fornitura energetica sicura, in particolare in Africa. Solo il 25% della cittadinanza congolese ha accesso all’energia elettrica, mentre il 70% vive in condizioni di estrema povertà. Le comunità locali hanno a lungo protestato contro la mancanza di consultazione e di azione da parte delle compagnie e del governo nel rispondere alle numerose questioni socio-ambientali connesse allo sfruttamento petrolifero. Preoccupa in particolare il gas flaring del grande giacimento di M’Boundi, gestito dall’Eni. I piani dell´Eni di trasformare questo gas in energia elettrica potrebbero essere i benvenuti, ma allo stesso tempo i cittadini congolesi devono avere garantito l’accesso all´energia elettrica. In generale, ci sono pochissime informazioni pubbliche sugli investimenti dell’Eni, mentre non si sono tenute consultazioni di particolare rilievo con la popolazione locale sulle politiche ambientali e sui diritti umani della multinazionale petrolifera».

Considerati questi timori, i gruppi della società civile dei Paesi del G8 e i loro partner africani chiedono all’Eni di: «Rendere pubbliche tutte le informazioni sugli impatti dei suoi investimenti in Congo, inclusi gli attuali livelli di gas flaring a M’Boundi, e un dettagliato prospetto temporale dello sfruttamento delle sabbie bituminose e dell’olio di palma. Organizzare delle serie consultazioni con le comunità impattate, portando a conoscenza le proprie politiche ambientali e sui diritti umani. Le comunità locali e i gruppi indigeni devono dare il loro consenso previo, libero e informato prima che si proceda con lo sfruttamento petrolifero. Fermare ogni ulteriore sfruttamento delle sabbie bituminose e delle palme da olio finché i potenziali rischi non saranno valutati con completezza, includendo il loro impatto sui livelli di emissioni di gas serra, e non venga adottato un piano credibile sulla gestione del rischio».

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