[06/07/2009] Comunicati

Velocità, memoria, modi di vivere

FIRENZE. La velocità annulla la memoria. Scriveva Mario Rigoni Stern: «[oggi]…le cose vissute e le storie si allontanano e svaniscono con una rapidità mai prima riscontrata». In Toscana abbiamo la fortuna che la morfologia del territorio, la struttura urbana, la campagna impongono ancora la presenza del tempo, costringono a rallentare rispetto alla velocità degli scambi e della finanza globali.

Ma di fronte ai fenomeni mondiali in cui prevale l’accelerazione, l’illusione di annullare il tempo, prima nei fatti economici, poi nel pensiero, appariamo disarmati. A meno che non cresca un movimento di pensiero capace di fatti concreti, stili di vita, che, recuperando le storie sociali, economiche, urbanistiche, politiche ci faccia assaporare la possibilità «che vi sono altri modi di vivere».

Far tesoro delle crisi, capire come funziona il libero mercato, fuori dai miti, ci può consentire, finché c’e tempo, e non ce n’è molto, di creare ricchezza che cresce con la conoscenza e libertà del lavoro e non a scapito del territorio, dell’ambiente, degli altri esseri viventi, dei nostri simili.

Perché la Toscana? Perché anche questa regione possiede una ricca tradizione di critica dell’economia politica, di scienze sociali, di ricerca scientifica. Chi se ne farà carico ora?
Ripartire da questa crisi, che ci investe più di altre regioni, riprendere la critica da dove è stata lasciata, a proposito del libero scambio, trent’anni fa. Capire che cosa sta dietro ai fenomeni delle crisi di borsa e dell’indebitamento.

Torna alla memoria che se il libero scambio aumenta la capacità produttiva e in certa misura e per certi periodi la massima circolazione di capitale finanziario ne aiuta la crescita, se l’industria si sviluppa, come è accaduto in Cina e India, se la ricchezza e il capitale investito crescono, aumenterà anche la domanda di lavoro e crescerà anche il salario. Non c’è dubbio. Ma tale crescita determina l’allargamento dell’accumulazione e la concentrazione dei capitali. L’abbiamo visto. L’estrema concentrazione spinge ad una maggiore divisione del lavoro a livello planetario e il ricorso ad altre macchine per produrre. L’esasperazione della divisione del lavoro distrugge le specificità del lavoro, lo semplifica e accentua i conflitti tra lavoratori. L’estrema accumulazione genera un surplus di capitali che devono trovare impieghi ben oltre i limiti della produzione. Giocando su se stessi creano le condizioni di “bolle” speculative che ciclicamente scoppiano. L’abbiamo rivisto.

Più il capitale aumenta più è costretto a produrre e/o impiegarsi per un mercato di cui ignora i bisogni e ne crea altri. Più la produzione o l’impiego finanziario precedono il consumo e più l’offerta obbliga la domanda. Così le crisi aumentano di intensità e rapidità, col protezionismo a fare da pannicello caldo.

Si può ripartire da qui, dalla realtà della Toscana che mal si adatta a questo sistema semplificatore e devastante, per pensare criticamente quel “capitalismo (o come altro si chiamerà) dal volto umano” di cui ha scritto Giacomo Becattini, illustre concittadino.

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