[09/07/2009] Comunicati
LIVORNO. Che cosa dobbiamo pretendere dal G8 lo abbiamo detto nell’editoriale di ieri. Che cosa avremo ottenuto lo diremo domani. Ma intanto già oggi è possibile fare una stima a spanne di quel che è accaduto nella prima giornata di negoziati e alla luce di questo capire che cosa è lecito attendersi, già dagli incontri di oggi, dove il G8 attraverserà la sua camaleontica trasformazione prima in G14, poi nell’incontro ancora più ampio con il Mef, Major economic forum.
Se è indiscutibile che solo in quest’ultima sede (il Mef appunto) potranno nascere accordi veramente cogenti, è pur vero che il primo passo compiuto ieri sul clima è un bicchiere quasi tutto vuoto, ma è sempre qualcosa in più al bicchiere tutto vuoto a cui ci aveva abituato il mai rimpianto Bush.
Analizziamo nel dettaglio quello che da molti giornali, televisioni e siti internet è stato annunciato come il primo grande risultato del G8, ovvero questo “accordo sul clima”. In realtà i leader dell’economia mondiale – ad esclusione di un paio di ‘trascurabili’ defezioni come Cina e India! – hanno convenuto di inserire la seguente frase nella dichiarazione sul clima: l’impegno a «dimezzare entro il 2050 le emissioni di gas a effetto serra rispetto al 1990 o ad anni più recenti».
Il fatto positivo è che questo impegno è stato sottoscritto dagli Stati Uniti, per la prima volta disposti a trovare una strada comune per rispondere ai rischi derivati dalle conseguenze dei cambiati economici. Di negativo c’è proprio che a causa degli Usa, e della difficilissima trattativa in seno al Congresso statunitense per far passare la legge sul cap & trade, è stata inserita la funesta frase “o ad anni più recenti”. Ovvero che invece di prendere a riferimento per i calcoli di riduzione il 1990, come previsto dal primo (e pur considerato lasso) Protocollo di Kyoto, e dal pacchetto clima Europeo, gli Usa potranno partire dal 2005 che è anche l’anno fissato da Obama per raggiungere il compromesso con il congresso. Il che tradotto in numeri molto più semplici significherebbe una riduzione di poco più del 4% delle emissioni rispetto al 1990. Ma questi calcoli ovviamente, benché reali e anche molto tristi, saranno poco diffusi tra i cittadini ai quali sarà data in pasto la ben più ridondante storia del “dimezzamento“.
Ma come se questo non bastasse a frustrare il percorso verso uno sviluppo sostenibile ed un’economia ecologica, c’è appunto il niet di Cina e India, che non “frenano” come forse troppo ottimisticamente titola Repubblica, ma proprio inchiodano e anzi mettono la retromarcia, anche se l’ennesimo compromesso studiato in questi mesi ipotizzava come soluzione che la riduzione di almeno il 50% delle emissioni mondiali fosse raggiunta grazie a una riduzione dell’80% nei paesi già industrializzati e di solo il 20% nei Paesi in via di sviluppo.
Il no di Cina e India pare, però, spiegabile con una certa diffidenza e mancanza di fiducia, motivate da una considerazione e da due attese molto concrete. La considerazione è che finora gli impegni e le promesse nei più svariati campi sono state abbastanza disattese dai ”grandi” tradizionali. E le attese? Da una parte Cina e India aspettano che sia rispettata la promessa fatta alla Conferenza di Bali del 2007 di aiuti finanziari e tecnologici che invece non sono mai arrivati,e che, almeno in parte, potrebbero essere accordati oggi dal Mef, dall’altra c’è una sorta di sfida: vediamo cosa davvero riuscirete a fare sul fronte della riduzione delle emissioni da qui al 2020. A quel punto (forse) saranno disponibili a trattare su cifre e impegni.