[17/07/2009] Aria

India: sul clima non abbiamo cambiato opinione. Alleanza di ferro con la Cina

LIVORNO. Dopo le uscite non proprio accomodanti di qualche ministro successive al vertice del G8 de L’Aquila, il governo di New Delhi cerca di buttare acqua sul fuoco sui timori di un suo cambiamento di posizione sui cambiamenti climatici e sui limiti da porre alle emissioni di gas serra.

“The Hindu” riporta le parole dall’inviato speciale del premier indiano sui cambiamenti climatici, Shyam Saran, che Consultative dialogue “India’s climate responsive roadmap for development”, organizzato da Oneworld foundation India, ha detto che non c’è niente nelle dichiarazioni ufficiali che suggerirebbe questo: «La posizione è rimasta invariata e la guida per il controllo delle emissioni è stata assunta da parte dei paesi sviluppati. L’India, può fare quel che è possibile entro i limiti delle risorse disponibili. Non vi può essere alcuna contraddizione tra la lotta contro la povertà, lo sviluppo economico e sociale e il cambiamento climatico. L´India è stata inserita in un percorso di crescita ecologicamente sostenibile».

Secondo Saran l’economia india sta crescendo dall’8 al 9% all’anno, mentre la crescita del consumo di sarebbe inferiore al 4% e «Il National action plan on Climate Change è centrato sulle risorse dell’energia rinnovabile ed il solar energy document sta per essere terminato. Ci sarà anche un massiccio aumento della copertura forestale dall’attuale 22% al 33%. Ulteriori 6 milioni di ettari di foreste degradate saranno recuperati per utilizzarli come deposito di carbonio. Speriamo in un risultato globale, equilibrato ed equo al prossimo summit di Copenaghen che soddisfi il mondo e dia risultati rilevanti per le persone. L´adattamento, l´attenuazione, i finanziamenti e la tecnologia saranno grandi sfide per un Paese come l´India, sono i quattro componenti che dovremo affrontate. Abbiamo bisogno di un sostegno finanziario e tecnologico dei Paesi sviluppati. Speravamo che questi problemi sarebbero stati superati in tempo prima che si tenesse l’incontro di Copenaghen. Stiamo facendo un lento progresso, ma ci stiamo muovendo verso la comprensione».

I negoziatori indiani si stanno attestando sulla clausola “Climbdown on 2°C” approvata dal G8, che prevede di tenere il rialzo della temperatura a meno di 2 gradi entro il 2050e a temperatura sotto i 2 gradi entro il 2050, ma chiedono ai Paesi in via di sviluppo di opporsi alle tesi dell’Occidente su tre temi che l’India considera essenziali: la richiesta Usa –Ue di una riduzione del 50% delle emissioni almeno nei Paesi emergenti entro il 2050; il rifiuto da parte di americani ed europei di accettare un collegamento tra il massimo di sviluppo paesi e "lo sviluppo sociale e lo sradicamento della povertà", «che è un’anatema per i Paesi in via di sviluppo», come scrive The Times of India; la richiesta ai Paesi in via di sviluppo di fare fino al 30% di “deviazione” per il “business-as-usual”.

I Paesi del G5 (Cina, India, Brasile, Messico e Sudafrica) accettano queste sole come indicazioni di principio, ma le condizionano ad un chiaro impegno da Parte dei Paesi ricchi a fornire finanziamenti e tecnologie. Inoltre Cina e India non mollano sul loro diritto ad eliminare la povertà prima di accettare tagli vincolanti alle loro emissioni.

Già a L’Aquila Saran aveva detto: «Noi non consideriamo questo come un obiettivo aritmetico; noi consideriamo questo come una decisione politica, perché non c’è molta incertezza rispetto a quanto sarà l´effettivo aumento di temperatura e quali saranno le conseguenze di tale aumento di temperatura».

Un ex negoziatore climatico indiano, Surya Sethi, contesta anche il compromesso raggiunto si 2 gradi perché questo potrebbe danneggiare l’India ed ha inviato una e-mail a tutti i componenti della delegazione indiana che sta seguendo i colloqui della road map di Bali dove scrive che questo «potrebbe ostacolare lo sviluppo in India. Accettare questo renderebbe più poveri gli indiani», forse anche per questo Sethi è stato messo in pensione.

Ma l’India non può nascondere una sempre più evidente mancanza di collegamento tra il ministero degli esteri Shiv Shankar Menon e il ministro dell´ambiente Jairam Ramesh, tanto che si sta cercando di elaborare una posizione comune sui negoziati sul cambiamento climatico.

Saran dice che il governo indiano ha dovuto accettare la clausola “Climbdown on 2°C” per non rimanere fuori dal gruppo dei Paesi che tengono in mano il pallino dei negoziati di Copenhagen e per avere così l’opportunità di partecipare alla stesura del "clean text" che fisserà i target anche per i Paesi in via di sviluppo.

Ma alla richiesta di accettare tagli del 50%, India, Cina, Brasile e Sud Africa rispondono che i Paesi sviluppati devono impegnarsi per tagli credibili entro il 2020 (il 40%) e non per il remoto 2050.

Gli indiani rivendicano come un loro successo quello di aver fatto fallire la strategia americana che tentava di intavolare una trattativa privilegiata con la Cina che avrebbe tagliato fuori gli altri Paesi emergenti e i negoziatori di New Delhi sottolineano che fino ad ora India e Cina sono unite nella la medesima posizione sul tema dei cambiamenti climatici».

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