[08/06/2006] Rifiuti

Paola Ficco: «Sul fronte rifiuti tutto va a passo di gambero»

MILANO. Forse non ce ne siamo ancora accorti, ma siamo diventati un Paese pulito e virtuoso. Non produciamo più circa 26 milioni di tonnellate di rifiuti urbani, né oltre 62 milioni di tonnellate di rifiuti speciali.
Produciamo invece tutta una lunga di serie di "altro" che con i rifiuti non c’entra: sottoprodotti, Mps e "Mps fin dall’origine". Con un tocco di bacchetta magica l’Italia è diventato il più piccolo produttore di rifiuti tra i Paesi industrializzati.

Come ha fatto? Semplicemente gli ha cambiato nome, tramite il Dlgs 152/2006 che, memore dei tentativi di fuga dai rifiuti operati da leggi e leggine statali, da provvedimenti delle autorità locali e da leggi regionali, oggi ufficializza un agglomerato di tendenze puntiformi e svuota l’impianto strutturale del concetto di rifiuto. Lo fa con una serie incessante e minuziosa di estrapolazioni dove, come in una grande spugna, all’esterno resta la forma apparentemente intatta ed omogenea ma, all’interno i buchi hanno sottratto gran parte della materia di composizione.

Bene, in un’Italia che grazie alla “devolution” si trova in una situazione pre-garibaldina, guardo questo testo e mi accorgo che siamo tornati esattamente al Dpr 915/1982, dove era rifiuto solo quello che andava in discarica. Come dire: si ritorna ai confortevoli fasti della tradizione.

Ad ogni buon conto: ecco il provvedimento che consentirà all’industria italiana di ripartire. Triste quel Paese (il nostro) che deve scegliere tra il diritto all’ambiente (e quindi alla salute) e il diritto al lavoro.
Il decreto, sotto il profilo della genesi, appare improntato ad un deciso populismo; infatti, i suoi Estensori hanno identificato i propri progetti con la volontà del popolo (qualche rappresentante di qualche categoria imprenditoriale) e poi hanno trasformato una buona parte di cittadini in quel popolo inventato, affascinati da una immagine virtuale in cui questi finiscono per identificarsi (recepimento di direttive già recepite; via il Mud ai produttori di rifiuti non pericolosi; note ministeriali –dal valore giuridico nullo- per rimediare ad un errore grossolano che impone il registro a più di 150.000 piccoli trasportatori dei propri rifiuti: elettricisti, ascensoristi, muratori, idraulici ecc.).

Colpisce la tecnica di pubblicazione in Gazzetta Ufficiale: un maxi provvedimento, scritto piccolo e fitto su due colonne e che si legge mettendo il fascicolo in orizzontale. Il tutto si protrae per 361 pagine!!

I sottoprodotti, le Mps e (meno che mai) le “Mps fin dall’origine” nella legislazione comunitaria non esistono, i conti con l’Europa li faremo, ma sarà sempre troppo tardi. Del resto perché preoccuparsi; è buona regola di ogni debitore (soprattutto se di grandi somme) diluire il più possibile i tempi per la restituzione del debito: finché c’è vita c’è speranza.

Il decreto rende evidente che in Italia la contrapposizione tra ambiente e costo dell’ambiente è insanabile, cioè tra valutazione della qualità e misura della quantità, dove la quantità dimentica la diversità soggettiva che è l’unico tratto che consente la valutazione giuridica dell’ambiente. Infatti, l’iperproduzione normativa nasce soprattutto dalla spinta industriale alla regolamentazione, come se la legge (dando certezza) fosse lo strumento per risolvere i problemi dell’ambiente.

Questo denota come le categorie economiche siano distanti anni luce dal problema ambientale. Infatti, sistemati i parametri quantitativi per la tutela di alcune matrici, esse ritengono risolto il problema; salvo poi sorprendersi del fatto che una legge ambientale genera costi ed altre richieste di qualità dell’ambiente. Ed è proprio qui che nasce la distanza tra qualsiasi politica ambientale e la condotta dei singoli, perché nessuna legge può creare attenzione alla complessività dell’ambiente se ciò che viene disciplinato fa riferimento solo al criterio economico del costo dell’ambiente (quanto costa immettere o eliminare una sostanza).

Quindi, la parola chiave non è “diritto dell’ambiente”, bensì “coscienza dell’ambiente”, affinché la contrapposizione fra l’ambiente e il suo costo, cessi di esistere, affinché una politica degna di questo nome non si occupi solo della tutela (che significa costi ed efficienza) ma si occupi innanzitutto della gestione (che significa scelte ed efficacia). E lo faccia anche il ministero a questo fine istituito.
Questo l’avevo già detto molto tempo fa ma inutilmente.

Visto che siamo tornati indietro, faccio mia una formula di Umberto Eco (non me ne vorrà) e concludo asserendo tristemente che (anche) sul fronte dei rifiuti tutto va “a passo di gambero”.

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