[15/06/2006] Comunicati

Cerrai (Arpat): «L´informazione non migliorerà senza una più alta cultura ambientale»

FIRENZE. «E’ assai difficile che in tema ambientale le notizie escano supportate da conoscenze o da spiegazioni sufficienti. Soprattutto su scala regionale, dove le possibilità di approfondimento sono ancora più rare». Simona Cerrai è la responsabile dell’Agenzia formativa dell’Arpat. E’ con lei che proviamo a riprendere il filo di un discorso che non può che stare a cuore con chi fa informazione sull’ambiente tutti i giorni. E lo facciamo ripartendo dalla «due giorni» che la stessa Arpat ha dedicato ad un incontro con i giornalisti, quasi un tentativo, sicuramente comunque apprezzabile nello spirito, di «alfabetizzare» gli operatori dell’informazione in tema di ambiente.
«Il fatto che l’ambiente sia una tematica complessa – dice Simona Cerrai – è la considerazione dalla quale dobbiamo iniziare. Approfondire la materia richiede tempo, e qui entra in gioco la carenza della parte giornalistica. Ma ci sono anche le difficoltà, da parte dei tecnici, di dotarsi di strumenti efficaci e comprensibili. Il risultato è che succede ciò che succede: l’ambiente, sui media, o passa male o non passa affatto».

E’ d’accordo, come abbiamo scritto nelle settimane passate, che per cercare di modificare la situazione attuale sia necessario puntare in alto, coinvolgendo nel dibattito editori e direttori responsabili?
«Penso di sì. Il punto è che mancano le conoscenze di base, in chi informa. Così, se nei giornali troviamo tanti professionisti nel calcio, o magari nell’economia e nella politica, ce ne sono pochissimi nell’ambiente».

Pochissimi e tutti addensati nei grandi giornali nazionali. I quotidiani locali languono, da questo punto di vista. Ed è abbastanza normale, tutto sommato, considerandone le dimensioni.
«Questo è vero, e lo comprendo. Devo dire che sono rimasta un po’ colpita dall’intervento del rappresentante del sindacato dei giornalisti, nell’incontro che abbiamo organizzato a Firenze. Siamo tornati a parlare di testimonial come strumento indispensabile perché si parli di ambiente. Penso che non ci siamo, a livello di ragionamento. Il problema è far alzare il livello della cultura ambientale complessiva, non della nicchia. Altrimenti sarà sempre una battaglia persa, altrimenti non si uscirà mai dal meccanismo in virtù del quale rimaniamo prigionieri dei Comitati».

Che cosa intende dire?
«Che rispetto a dieci anni fa il grande pubblico chiede di partecipare, di conoscere, di sapere. Anche e soprattutto sui temi ambientali. E non è possibile dar loro risposta solo quando si manifesta l’emergenza. E’ giusto dotare i cittadini degli strumenti adeguati per capire, per leggersi, per informarsi».

Sui giornalisti abbiamo detto e in modo neppure troppo tenero. Ma i tecnici non hanno niente da farsi perdonare?
«L’ho già detto: se da una parte i giornalisti manifestano scarsa propensione all’approfondimento, dall’altra ci sono i tecnici che hanno poca capacità di comunicare. Penso che debbano impegnarsi per semplificare il loro linguaggio, pur tenendo conto del fatto che l’ambiente è un pianeta complesso».

Ma è un difetto tutto italiano?
«E’ difficile dirlo. Posso dire che siamo ancora lontani dalla cultura del Nord Europa. Nelle riunioni dei coordinamenti sulle Agende 21, che si sono svolte anche nell’ambito dell’ultima Terra futura a Firenze, le delegazioni di alcuni paesi nordeuropei ci hanno fatto capire molte cose. E’ chiaro che si tratta di processi lunghi, complessi, che hanno bisogno di tempo per affermarsi e per diffondersi».

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