[19/06/2006] Recensioni
E’ un libello colto, a volte lezioso, ma scritto con la solita capacità divulgativa dell’autore su un tema che, nel nuovo millennio, è divenuto delizia e croce del mondo globalizzato: l’economia. “Una seconda natura artificiale” come viene definita.
Solo che questa “seconda natura” viene vissuta come “prima”. Non ci si è ancora resi conto a sufficienza cioè, che l’economia è un sottosistema della natura e non già il contrario. Così non ci si rende conto del fatto banalissimo per il quale la democrazia e il modello americani non sono esportabili solo per questioni politiche, morali, etiche o filosofiche. Il “modello di una nazione che con il 5% della popolazione mondiale consuma il 40% delle risorse, non è estendibile” innanzitutto per motivi aritmetici e fisici dice Ruffolo.
Eppure la competizione politica ed economica orientata dalle 74.000 imprese multinazionali è saldamente ancorata a quel modello innanzitutto dall’indirizzo che viene impresso alla ricerca scientifica (biodentifrici per animali da appartamento anziché tecnologie semplici e sostenibili per la cottura dei cibi).
Ma la indispensabile critica allo stato delle cose presenti non induce, secondo l’autore, a cercare soluzioni “nell’utopia dell’innocenza” o nella negazione della scienza e della tecnologia come accade invece ai “mistici del nichilismo nutriti dal pensiero reazionario” sempre più in sintonia con quelli “dell’ecologia profonda”, sistematicamente impegnati a negare e quasi mai a studiare e costruire.
Con immagine efficace l’autore invita a superare la dittatura del PIL innanzitutto disvelando il suo rovescio il “LIP” (lordura interna prodotta). Evidenziando che essendo il PIL la “somma dei beni e dei mali” questo indicatore non può essere scambiato come un indicatore di benessere.
Dopo la rivoluzione agricola e quella industriale, Ruffolo pensa e propone una terza rivoluzione: quella economica.
Questa rivoluzione necessita di strategie semplici da mettere a fuoco ma molto difficili da praticare.
La prima riguarda la stabilizzazione della popolazione mondiale; la seconda riguarda il rientro nel ciclo (interrotto dalla industrializzazione) delle energie rinnovabili; la terza è quella della dematerializzazione dei processi produttivi ( e quindi dei consumi) accelerando le innovazioni attraverso la ricerca applicata anche quando, temporaneamente, va a scapito dei profitti; e la quarta riguarda il riorientamento dal consumismo distruttivo.
“Nel giorno del giudizio” dice Ruffolo, “di fronte al tribunale supremo della storia, qualcuno dovrà spiegare perché, nel nostro tempo, le risorse destinate a inondare incessantemente il mercato di nuove generazioni di gadget siano state negate alla cura dell’ambiente, alla sicurezza delle infrastrutture, alla protezione del territorio, alla promozione della cultura”.
Se volessimo chiudere questo commento con una nota di pessimismo potremmo mettere in dubbio l’esistenza di “un tribunale supremo.
Se volessimo, invece, concludere con due note di pessimismo, indicheremmo, con Latouche, la necessità di affidarsi alla “pedagogia delle catastrofi”.
Se volessimo chiudere con una nota di ottimismo osserveremmo che, forse, non è inutile lavorare come formichine per associare gli uomini e le donne del presente, senza aspettare tribunali e catastrofi, per organizzare, qui e ora, quella necessaria “rivoluzione economica”-ecologica, abbandonando il “predicazionismo”, la puzza al naso, e facendo i conti con il potere senza paura di sporcarsi le mani.