[04/07/2006] Parchi

E intanto infuria ancora la polemica sull´uccisione dell´animale

ROMA. «Speriamo che non si ripeta». Dopo l’uccisione dell’orso Bruno da parte delle autorità bavaresi la settimana scorsa, la prima preoccupazione del presidente del Parco Adamello Brenta, Antonello Zulberti, è sul futuro degli esemplari rimasti, circa una ventina. «Fin dal primo momento di questa storia – dice – le autorità bavaresi si sono affidate a degli ‘esperti’ senza andare a cercare chi il progetto l´aveva messo in piedi, per poter trovare degli accordi. Noi del Parco con loro non abbiamo mai avuto contatti. La provincia di Trento, che si occupa della gestione ordinaria del progetto Life Ursus, invece ne ha avuti, ma senza alcun esito. Mi sembra che abbiano scelto la strada più semplice quella di cavare il dente, che in natura non è mai la migliore».

Zulberti pensa anche a chiedere un intervento urgente istituzionale: «Spero che il Ministro dell’ambiente e la provincia di Trento, attraverso la diplomazia, riescano a ricomporre la situazione. Per evitare che succeda di nuovo, serve un coordinamento sovranazionale. Quello che è capitato con il governo locale bavarese può accadere di nuovo con svizzeri e austriaci». Intanto, per quanto riguarda «Bruno», ancora non ci sono novità. «Sarebbe un atteggiamento utile di buon gusto consegnare il corpo dell’orso – dice Zulberti – ci dispiacerebbe se, oltre ad aver fatto lo sgarbo, volessero anche lucrarci sopra. Per ora non ci hanno fatto sapere nulla. Grande assente in tutta questa vicenda è stata l’Unione europea. In questo senso ritengo una buona iniziativa quella del Wwf di chiedere se c’è stata un’infrazione di direttive comunitarie».

Il progetto di reintroduzione dell’orso bruno, ricorda il presidente del Parco, tra il 1998 e il 2004 è costato circa 1,5 milioni di euro ed è stato un successo, considerando che ci sono stati circa 15 orsetti nati in Italia. Rifondere qualche pecora insomma, non sarebbe stato un problema. Anzi, ha concluso Zulberti: «Molte compagnie assicurative si sarebbero prestate a ripagare i danni, se non altro per la pubblicità».

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