[31/07/2006] Energia

Scalia: Va bene l´efficienza, ma pensiamo anche all´efficacia

LIVORNO. Il manifesto di sabato scorso ha pubblicato un contrappello firmato da Carlo Magni, Gianni Mattioli e Massimo Scalia (Movimento ecologista, nella foto) in risposta all’invito apparso sullo stesso quotidiano da parte di alcuni economisti ad evitare l’abbattimento del debito pubblico privilegiando investimenti «verso un modello di sviluppo fondato sulle nuove tecnologie».
«Trovo assai poco di sinistra che venga riproposto un modello – spiega Massimo Scalia - che fu il modello andreottiano che si possa investire a discapito della spesa pubblica all’infinito perché tanto gli stati non falliscono. Questo non è vero, e il fallimento dell’Argentina lo dimostra. Mi ricordo di un seminario con Luigi Spaventa, una decina di fa, in cui spiegava il consociativismo e lo sfondamento del debito pubblico per rispondere a esigenze di stato sociale e dei livelli occupazionali. Questo può essere considerato un aspetto nobile, ma ora è possibile continuare a indebitarsi all’inverosimile e andare avanti? Io dico di no, per questo abbiamo voluto rispondere a quell’appello»

Al di là dell’aspetto morale, le cose oggi sono un po’ diverse rispetto agli anni ’80.
«Esatto. Oggi siamo nell’euro e siamo legati alla banca centrale europea, per cui il giochino della svalutazione non è più possibile. Ce ne possiamo fregare? Io rispondo ancora una volta di no perché è vero che c’è il mitico 3,5% di sforamento, ma è anche vero che il debito complessivo del nostro Paese è al 107,7% e quindi non sarà mai possibile pensare di competere con Paesi che hanno debito pari a quasi la metà, oltretutto in settori tecnologici dove oltretutto già partiamo in ritardo. E questa purtroppo è la visione che ripropongono gli economisti con cui polemizziamo: innovazione, ricerca tecnologica, aumento della competitività. Funziona poco in paesi che stanno meglio di noi, figurarci in Italia».

I più con il debito c’è lo spauracchio del declassamento.
«Questo è un aspetto di equità sociale importante. Hanno ragione gli economisti a dire che i criteri del 3% e 60% possono essere determinati in altro modo. E’ vero che i criteri sono criticabilissimi, ma al mercato di questo non gliene frega nulla. Le società di rating confrontano per i vari Paesi questi valori e condannano quelli che stanno peggio. E chi è che paga il declassamento dell’economia italiana? La pagano i ceti più deboli, perché se perdiamo ulteriore credibilità economica l’Italia diventerà poco appetibile per fare investimenti e la correlazione tra volume degli investimenti e volume dell’occupazione è immediata. Qualcuno potrebbe obiettare che il debito lo Stato italiano lo finanzia con i buoni dello stato, è che quindi su questo possono lucrare tutti i risparmiatori, ma in realtà la parte del leone lo fanno le banche e le società finanziarie, perché il 5% dei soggetti titolari di titoli di stato ha più del 40% del volume complessivo dei titoli. Questo francamente è inaccettabile. L’equità sociale proprio non esiste».

Fin qui le critiche, quali le proposte da parte del Movimento ecologista?
«La sostenibilità è una grande occasione per investire in settori più omogenei rispetto a quelli in cui scontiamo già grossi ritardi. Con ben vivere intendiamo questo: riqualificazione urbana, ristrutturazione della mobilità, agricoltura multifunzionale, salvaguardia del territorio, riorganizzazione e modernizzazione del sistema della piccola e media impresa... Se faccio difesa del suolo per esempio, non avrò mai competitors agguerriti come i cinesi o gli indiani e le tecnologie sviluppate sarà in grado di esportarle anche all’estero. Così come è necessario investire nel rilancio della piccola impresa, perché oltre il 90% delle imprese ha meno di 50 addetti: ma non hanno per esempio servizio adeguati, soprattutto energetici. Ecco in questo senso l’Enea ha fallito completamente i suoi obbiettivi».

Non ritiene che l’Italia stia inseguendo solo l’innovazione di prodotto a discapito di quella di processo, che significherebbe anche nuove tecnologie per la mitigazione degli impatti?
«Innovazione di prodotto e di processo sono accoppiate, sono indissolubili. Quando parliamo di riorganizzazione della piccola e media impresa, intendiamo proprio questo, che l’Enea invece non l’ha mai fatto, col risultato che non esistono neppure sportelli energetici per le Pmi».

Chi può dare il là all’inversione di rotta?
«Lo deve dare il governo. Su questo punto la polemica con amici e colleghi economisti è benevola e di tipo teorica pratica, perché spetta alla politica muoversi. Noi lo stiamo dicendo da tempo e già diversi mesi fa abbiamo avuto un incontro con Pierluigi Bersani sul terreno delle energie. Sostanzialmente il timore è che il governo anzi il ministro delle Attività produttive sia più indirizzato verso l’efficienza e non per l’efficacia.
E’ quindi giustissimo liberalizzare questa società italiana che è una delle più corporative del mondo, cioè andare a scrostare privilegi per rendere protagonista cittadino-utente-consumatore. E questo in un’ottica di efficienza. Ma non tutto può essere visto con la lente della liberalizzazione se ad essa non si affianca la visione dell’efficacia netta delle imprese italiane: servono investimenti mirati e serve una forte funzione pubblica nell’indicare i settori dove i privati devono investire, cioè nei settori del bene vivere in cui l’Italia può diventare protagonista».

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