[01/09/2006] Rifiuti

Informatizzazione (dell’economia) non è sinonimo di dematerializzazione

LIVORNO. Ha già qualche anno lo studio pubblicato sulla rivista Environmental science and technology che evidenziava come per produrre e utilizzare un solo microchip da computer dal peso di 2 grammi, sono necessari prodotti chimici e combustibile fossile pari a 630 volte il suo peso.

Il rapporto, il primo a presentare un´attenta analisi di flusso del materiale relativo a un chip da 32 megabyte di memoria, intaccava la reputazione del settore elettronico come di industria relativamente "pulita" e smentiva la diffusa opinione secondo cui la rivoluzione informatica avrebbe aperto un´era di "smaterializzazione" dell´economia postindustriale.

«L´utilizzo di materiali secondari è molto più elevato per il microchip che per i prodotti tradizionali», rilevava il rapporto. Per esempio, una singola automobile familiare che esce dalla catena di montaggio richiede l´equivalente di circa 3mila chilogrammi di combustibile fossile e di prodotti chimici. Ciò significa che il rapporto fra quantità di risorse necessarie per costruire un´automobile e il peso del veicolo è di circa 2 a 1. Mentre il rapporto fra produzione e peso per un chip è, appunto, di 1 a 630.

La fabbricazione e fase operativa di ogni chip di memoria di 1 centimetro quadrato implica l´utilizzo di almeno 72 grammi di prodotti chimici (molti dei quali tossici), 700 grammi di gas semplici, 32mila grammi di acqua e 1.600 grammi di combustibile fossile (440 grammi dei quali per alimentare il ciclo di vita "tipico" di un chip: quattro anni di attività per tre ore ogni giorno). La Semiconductor lndustry Association stima che l´industria dell´elettronica abbia prodotto 69 miliardi di circuiti integrati nel 2001.

Negli anni che ci separano da questa stima, i consumi di prodotti elettronici, complice l’obsolescenza programmata (alla faccia del project e del design for environment), hanno continuato ad espandersi anche con il sostegno del credito al consumo. I cosiddetti Raee (rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche) che in Europa sono stati oggetto di una specifica direttiva (non ancora applicata in Italia) rappresentano un problema di non poco conto, visto che stime recenti calcolano una produzione di circa 10 milioni di tonnellate/anno.

La possibilità di un loro pressoché totale recupero in impianti specializzati (in Toscana vedi la Tred-Livorno) è tecnologicamente acclarata ma amministrativamente, logisticamente (ed economicamente) ancora non sostenuta e praticata a sufficienza. Ovvio che recuperare ha un costo (che domani, con la direttiva in vigore) sarà incorporato nel prodotto. Meno ovvio è che questo costo si tenti in tutti i modi di non affrontarlo. E’ così che, spesso, questo tipo di rifiuti prende la via dell’Asia quando non dell’Africa. Anche sottoforma di “prodotti da riutilizzare”. Oppure prende direttamente la via della discarica.

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