[18/09/2006] Recensioni

La Recensione - Top 20 Le tecnologie emergenti di Alessandro Ovi

Fra le molte cariche ricoperte dall’autore ne citiamo una: editore e direttore dell’edizione italiana di “Tecnology Review”, la rivista per l’innovazione del Mit.
Nicholas Negroponte invece è riconosciuto a livello mondiale come uno dei guru dell´informatica per le sue ricerche e i suoi studi innovativi nel campo delle interfacce tra l´uomo e i computer. E forse non è un caso se nella sua prefazione sbriciola in un sol colpo i luoghi comuni su culture (e scontri di), democrazia (perfino da esportazione) e modernità. «Uno dei fondamenti di un buon sistema di innovazione - dice infatti Negroponte - è la diversità. Si può dire che più forte è una cultura (nazionale, istituzionale, generazionale o altro) e meno si presta ad accogliere il pensiero innovativo. Credenze condivise e ben radicate, norme largamente diffuse, standard di comportamento e di procedura sono tutti nemici delle nuove idee. E una società che si vanta della propria omogeneità e armonia interna sarà molto restia ad accettare nel suo seno un modo di pensare poco ortodosso…….Una cultura molto eterogenea, all’opposto, incoraggia l’innovazione…».

Il meticciato culturale dunque favorisce l’innovazione.
Ma fin dall’inizio l’autore chiarisce che «la presentazione di venti tecnologie tra quelle selezionate da esperti del Mit come quelle che potrebbero avere una importanza determinante nel futuro», declina la parola innovazione come funzione di competitività e crescita (economica ovviamente). Facile dunque intuire il ruolo del mercato nell’orientare la ricerca.

I filoni sui quali si esercita il top della la ricerca selezionato da Tecnology Review sono sostanzialmente tre.
Bio. Che penetra nei meccanismi più profondi della materia vivente e sviluppa nuove forme di cooperazione con la scienza dei computer.
Nano. Che lavora ai livelli dell’infinitamente piccolo della materia non vivente.
Info. Che tramite il digitale e i nuovi straordinari sistemi di connessione integra in una rete sempre più fitta e più grande di elaborazione dei dati, memoria, informazione e comunicazione.

L’autore illustra in modo semplice e immediato i rami della ricerca che fanno capo a questi tre filoni. Dalla biomecatronica (l’unione fra robotica e sistema nervoso) alla ingegneria dei tessuti biologici iniettabili; dalla genomica personalizzata (per la personalizzazione delle cure) alla metabolomica (per scoprire le malattie più rapidamente); dalla litografia con nanostampa (per una diagnostica più economica) ai nanofili, ai nanotubi, ai fili quantici, alla fotonica. E poi ancora dal calcolo in rete alla crittografia quantistica; dalle reti senza fili alle traduzioni universali; dalla memoria distribuita all’apprendimento probabilistico (le persone hanno una capacità limitata nel mettere insieme diversi aspetti della realtà. I computer no).

Dal punto di vista dell’indirizzo della “crema” della ricerca scientifica a livello mondiale che cosa se ne può dedurre? Che la ricerca più spinta e l’innovazione più audace (con conseguente maggiore flusso di finanziamenti) è finalizzata fondamentalmente alla scienza dei materiali e dell’energia in campo biomedico. Cioè indirizzato alle diagnosi precoci, alla chirurgia non invasiva, alla prevenzione e alla “riparazione” dei guasti del corpo umano che si producono nell’ambiente moderno (inteso come ambiente delle società occidentali).

Bio, nano e info, ibridati tra loro e indirizzati sostanzialmente ad una domanda di mercato individuale: quello della salute. Una ricerca indirizzata dunque ad una offerta di applicazioni pratiche che risponde ad una domanda di salute che può remunerare, attraverso i profitti, gli sforzi fatti. E in quale parte del mondo si potranno mai remunerare queste innovazioni se non dove la domanda individuale di queste innovazioni è capace di sostenersi finanziariamente?

Come si dice nelle conclusioni «... non troviamo mai un ricercatore solo, ma sempre anche un imprenditore che capisce il valore della innovazione... vi è quindi una forte complementarietà tra ricercatore e imprenditore...». Ma anche una forte complementarietà fra “prodotti” e “consumatori” di questa ricerca.

Questo “prontuario della ricerca emergente”, come lo definisce Gian Piero Jacobelli, direttore responsabile di Tecnology Review Italia, fa emergere come la “politica della ricerca” è certamente il frutto della propensione umana alla «conoscenza come interminabile viaggio nell’ignoto» ma anche che la direzione di questo viaggio non è né casuale, né neutra, né ha il suo motore nella sostenibilità economica, sociale e ambientale. Può darsi che ciò, nella situazione data, sia inevitabile. Ma chi lo dice che ricerca e innovazione non possono essere indirizzate anche per cambiare la situazione data? Perché in mezzo a tanto fervore modernizzante ossessivamente indirizzato alla ricerca di innovazioni (e ai contesti che la favoriscano), l’unica cosa da conservare gelosamente dovrebbe essere la “situazione data”?

Ovvio che, nella situazione data, la “ricerca dell’ignoto” non sia orientata a ciò che produce guasti e patologie, cioè alla prevenzione degli impatti ambientali (dai quali derivano, appunto, gran parte di quelli sanitari) invece che essere esclusivamente orientata alla diagnosi e alla cura precoce delle malattie. La “domanda di ambiente” e di sostenibilità delle attività umane è una domanda collettiva (non individuale) ed evidentemente, è una domanda non sufficientemente forte, e perciò (anche) insufficientemente remunerativa.

Su questo terreno siamo ancora (quando va bene) all’era della mitigazione degli impatti, mai (o quasi) si ricerca sulla prevenzione primaria che significa sostenibilità ambientale. Anzi qui non siamo neanche alla stadio della misurazione. E il paradosso è, appunto, quello per cui ricerca e innovazione sul versante tecnologico-produttivo pretendono (pretenderebbero) il massimo della conservazione nei rapporti sociali e di potere.

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