[26/09/2006] Urbanistica

Quanto è pesante l´impronta ecologica dell´uomo

VAIANO (PO). Sviluppo sostenibile, sviluppo zero, decrescita, divario tra nord e sud del mondo, impatti del nostro stile di vita sul pianeta e sull’equilibrio sociale, indicatori per misurarli. Questi i temi affrontati durante il convegno «Cambiamo il mondo! Cominciamo dai nostri piedi. L’impronta ecologica: uno strumento di consapevolezza per agire» che si è tenuto nei giorni scorsi a Vaiano.

«Esiste un’inadeguatezza della coltura dominante in cui l’economia ha perso di vista la natura e i cittadini sono ormai lontani dai sistemi naturali - dichiara Roberto Brambilla del Wwf nazionale - . Il modello di sviluppo dominante sembra non tener conto del fatto che la terra ha una dimensione limitata, che ci sono le leggi della termodinamica, che il sistema sociale ed economico è incluso nel sistema natura. La domanda che ci dobbiamo porre oggi è quanta risorsa naturale dobbiamo lasciare per consentire la vita sulla terra? Di quanta natura abbiamo bisogno?»

«L’impronta ecologica - continua Brambilla - è uno strumento molto valido, un indice numerico per valutare la misura sia dell’impatto ambientale, sia dell’impatto sociale sul pianeta e quindi la distribuzione della ricchezza sulla terra. Tra l’altro è un concetto di facile comunicabilità che lascia poi libertà di scelta alle persone nei comportamenti da adottare».

Ma cos’è di preciso l’impronta ecologica?

«Possiamo immaginare di vivere in una città racchiusa in una cupola di vetro, che lasci entrare la luce ma che, completamente isolata, impedisca alle cose materiali di entrare od uscire. L’impronta ecologica è un indice numerico espresso in unità di area, che misura la superficie totale degli ecosistemi terrestri necessari per produrre le risorse da utilizzare per la vita di quella città, assorbirne i rifiuti prodotti e a garantire alle generazioni future la stessa possibilità di vita.

Quindi l’impronta ecologica di una città sarà proporzionale alla sua popolazione e ai consumi materiali pro capite. Dato che le città moderne sopravvivono grazie a beni e servizi ottenuti da tutto il resto del mondo, attraverso flussi naturali o tramite scambi commerciali, la superficie coinvolta è più vasta dell’area fisicamente occupata dalla città o addirittura dal suo territorio amministrativo.

Alcuni esempi. L’impronta ecologica di un abitante degli Stati uniti è 12,22 unità di superficie (ettari), quella di uno dell’Eritrea 0,85 h. Un cittadino italiano ha un’impronta pari a 5,51 ettari contro una biodisponibilità di 1,92».

«Prendendo in considerazioni l’impronta ecologica mondiale, dati del 2004 - continua Roberto Brambilla - vediamo che abbiamo un deficit procapite di 0,4 ettari quindi stiamo già consumando il capitale, la capacità vitale del pianeta e mettendo in serio pericolo la vita delle generazioni future.

Ora aspettiamo i dati di ottobre 2006 (l’impronta mondiale viene calcolata ogni due anni ndr) ma con lo sviluppo di Cina ed India c’è da aspettarsi un aumento del deficit. Le società occidentali - conclude l’esponente del Wwf - dovrebbero ridurre di un fattore 10 l’input di materia ed energia e passare all’eco-economia».

L’impronta ecologica è uno strumento per dare importanti possibilità di azione a ciascuno di noi per cambiare gli stili di vita «il bilancio deve essere mantenuto in equilibrio, la materia uscente deve essere uguale a quella entrante, il sovraconsumo porta al degrado ambientale ed è quindi necessario trovare il grado di benessere ottimale - afferma Alessandro Cerutti dell’Ecoistituto del Centro Studi Sereno Regis di Torino - tra l’altro sono possibili dei cambiamenti di stili di vita non sconvolgenti: ad esempio l’uso comunitario degli oggetti, i gruppi di acquisto, le banche del tempo, la riduzione dei consumi energetici, l’utilizzo di saperi e sapori locali in campo alimentare».

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