[25/10/2006] Consumo

Bologna: «Il consumo di risorse è superiore alla capacità rigenerativa»

ROMA. Sulle critiche apparse nei confronti del Living Planet del WWF abbiamo sentito Gianfranco Bologna (nella foto) che del WWF è direttore scientifico.
Bologna, come sempre quando si presentano dati come quelli del Living Planet, piovono critiche da ogni parte. Forse disturbano troppo?
«E’ lungi da me dire che qualsiasi previsione sia esatta, l’obiettivo di una previsione è quello di cercare di vedere come si muovono i trend. Quindi la debolezza di qualsiasi previsione è intrinseca. I livelli si sono affinati ma nessun modello è la realtà, noi abbiamo messo insieme due indici aggregati e sono tra l’altro tutti per difetto. Se facessimo un indice in grado di mettere insieme tutti gli indicatori sarebbe molto più pesante dell’impronta ecologica. Gli indicatori utilizzati tengono conto di alcuni degli aspetti, quanti ettari di natura sono necessari per determinati stili di vita che sono in atto in diverse aree del pianeta. Non tengono conto per esempio del consumo di materia che è cosa assai difficile da fare, anche se sarebbe molto significativo. Il flusso di materia è dato da quanta materia prima viene consumata e dagli scarti che si producono, in pratica dal metabolismo industriale. Questo è passato da 40 miliardi a 53 in 20 anni e si stima che saranno 80 miliardi al 2020.
Il consumo di risorse è superiore alla capacità rigenerativa delle stesse. Questo è il punto non smentibile!
L’impronta ecologica calcola gli ettari procapite richiesti, in termini di aree agricole, fosrestali e pascoli, per un certo tipo di vita. C’è soltanto uno scarto che viene considerato, tra i tanti che invece sarebbero da considerare, ed è la produzione di Co2 e nonostante questo i dati sono quelli che sono nel rapporto.
Dispiace però che quello che poi emerge dalla restituzione mediatica è più spesso l’aspetto catastrofico che i rapporti indicano, mentre sarebbe molto più utile dare conto del lavoro che c’è dietro».

Ma invece che dal catastrofismo, partiamo da dati di realtà. L’allarme per il surriscaldamento del pianeta ormai è un dato riconosciuto da tutta la comunità scientifica.
«I grandi studiosi che si occupano del pianeta alla conferenza di Amsterdam hanno fatto riferimento all’effetto soglia che il biochimico Halley ha paragonato a una canoa, che se comincia a dondolare si può capovolgere, ma tu non sai quando.
E se la canoa si capovolge sul serio possono esserci scenari totalmente imprevedibili e quindi l’impegno che viene richiesto è incomparabile rispetto a quello che sarebbe necessario. Solo il 5,2% di riduzione previsto da Kyoto è una azione ai limiti del simbolico. E tra l’altro nel protocollo di Kyoto gli Usa non ci sono, quando invece è la prima economia mondiale rispetto al pil, produce una marea di anidride carbonica e non ha nessuna intenzione di cambiare il proprio stile di vita».

Non le sembra un paradosso che mentre l’economia ha sempre più bisogno di ambiente - come dimostra anche la Cina che ha avuto uno sviluppo a velocità incredibile ma al contempo, a velocità forse maggiore, ha messo in crisi i propri ecosistemi e chiede “aiuto” per poter far fronte a questi problemi - volge invece il proprio sguardo sempre più alla crescita, intesa come aumento dei consumi?
«Questo è il tema che più mi sta cuore da sempre. E posso dire che il mio maestro è stato Aurelio Peccei. Nei parametri classici dell’economia che condizionano poi le politiche di governo non c’è mai il riferimento al consumo di materie naturali.
Il pil mondiale alla fine del 2005 era di 61.000 miliardi di dollari, mentre era di appena 7.000 miliardi alla fine degli anni 50. Il trend di crescita della crescita non è avulso e simbolico dal flusso di materie naturali. La mia battaglia da sempre è quella di far emergere la contabilità ambientale. Se la contabilità economica non si confronta e non si incrocia con quella ecologica, si va obbligatoriamente verso uno sviluppo distonico.
Nel Millenium ecosistem assessment che è il più grande e più completo rapporto sullo stato degli ecosistemi a livello mondiale e sugli scenari delle loro probabili dinamiche nei prossimi 50 anni, emerge con chiarezza quanto di queste risorse sono state usate per l’attività dell’uomo. Gran parte delle risorse sono la base di servizi fondamentali per la vita umana, e sono gratis, non sono mai stati contabilizzati da nessuno. Bisognerebbe invece cominciare a riconoscere il fatto che gli utilizzatori riconoscano alla natura e a chi ne è guardiano il valore di questo bene».

Insomma è ancora possibile cambiare pagina?
«Cambiare si può e come, e i rapporti servono anche a questo».

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