[26/10/2006] Energia

Energia, diversificazioni e liberalizzazioni: ma qui finisce tutto in bolletta!

ROMA. Fare sistema. E per il ministro per lo Sviluppo economico Pierluigi Bersani, fare sistema nel settore energetico significa stabilire un tetto all’uso del gas nelle centrali elettriche e riequilibrare l’attuale sbilanciamento tra le fonti di produzione energetica, introducendo carbone pulito e rinnovabili. Tutto questo per mettere al sicuro l’Italia sul lato dell’energia.

L’anima nera (di carbone s’intende) dell’attuale governo (nemmeno Letta ha mai celato la sua propensione al carbone) è emersa ieri in piena chiarezza all’inaugurazione della centrale turbogas Torre Valdaliga Sud a Civitavecchia. «Non possiamo fare a meno di una quota di "carbone pulito" per mettere il sistema in sicurezza: e tra le quote del carbone rientra anche Torre Valdaliga Nord. Nel frattempo però occorre costruire infrastrutture per il gas come anche i rigassificatori. Esiste comunque una proposta di legge in Parlamento che rilancerà le fonti rinnovabili».

Ecco fatto il sistema. Che dovrebbe garantire oltre alla sicurezza del sistema energetico italiano anche un minore appesantimento sulla bolletta dei consumatori.

Ma vediamo di entrare un po’ meglio dietro a queste parole. Intanto cos’è il carbone pulito.
Il termine comprende l’insieme delle tecnologie finalizzate ad incrementare l’efficienza e le caratteristiche ambientali di questa fonte fossile, su tutta la filiera: estrazione, preparazione ed utilizzo finale. Ma ormai nell’accezione più vasta del termine rientra anche tutta la tecnologia legata al sequestro delle emissioni di anidride carbonica, su cui però lo stadio è ancora quello della pura ricerca.

Con queste tecnologie - su cui sta puntando il ministero dello Sviluppo con il programma sulla ricerca di sistema elettrico nel settore del "carbone pulito" e in cui si colloca il recente accordo di collaborazione tra Enel, ed Enea - si riducono le emissioni inquinanti (in particolare lo zolfo) e si cerca di aumentare la quantità di energia ottenibile da una determinata quantità di carbone (ovvero l’efficienza). Ma il bilancio di Co2, di cui il carbone è uno dei maggiori produttori?
E perché si vuole mettere un tetto all’utilizzo del gas?

Puntare su impianti di generazione a gas, che hanno minori emissioni di Co2, è il metodo più agevole per rientrare negli impegni di Kyoto. E infatti non è un caso che quasi tutte le nuove centrali realizzate o previste in Italia siano proprio cicli combinati a gas.

La riconversione degli impianti che porta ad un miglioramento dell´efficienza avrebbe risvolti immediati sul costo del kWh.

A detta di Enel, in termini di costi di produzione di elettricità, ad esempio, un moderno impianto a carbone offre un vantaggio di circa il 20% rispetto ai migliori cicli combinati a gas. Ma c´è il problema delle emissioni di CO2, quindi puntare sul carbone, andrebbe contro gli obiettivi del protocollo di Kyoto e ci costringerebbe ad acquisire sul mercato grandi quantitativi di diritti di emissione, ergo si ridurrebbe il vantaggio acquisito.

E veniamo al gas.
L’Italia è stata uno dei maggiori produttori europei di gas grazie ai giacimenti in Adriatico, ormai quasi svuotati, da cui si estraggono circa dodici miliardi di metri cubi l’anno degli 80 miliardi utilizzati attualmente, di cui 35 sono destinati (nel 2006) alla produzione di energia elettrica.

Quindi la gran parte del gas utilizzato lo importiamo, principalmente dall’Algeria e dalla Russia, attraverso gasdotti per cui è previsto un potenziamento da parte di Eni. Ci sono poi altri progetti tra cui quello di Igi per un metanodotto che dalla Grecia dovrebbe portare metano a Otranto e quello di Galsi, che partendo dall’Algeria farebbe arrivare il metano prima in Sardegna e poi a Piombino.

Ma non basta. Per diversificare le fonti di approvvigionamento si pensa anche di realizzare dei rigassificatori, impianti cioè in grado di trasformare di nuovo in gas il metano trasportato allo stato liquido da grandi nave metaniere, che potrebbero andarlo a prendere ad esempio in Nigeria.

Ma quanti ne servono in questa strategia a sistema? Qualcuno dice che ne basterebbero tre, chi dice cinque e intanto i progetti presentati sembrerebbero già arrivati a quindici, che andrebbero ad aggiungersi all’unico, al momento esistente, che è quello di Panigaglia, in Liguria.

Ma come è possibile questa moltiplicazione di impianti?

«Tutto è nato dalla necessità di aumentare la competitività nel settore della fornitura interna di gas e abbattere quindi i costi in bolletta, da cui il provvedimento dell’Authority dell’estate 2005, concordato naturalmente con il Governo, di prevedere una leggera forma di sovracapacità produttiva e quindi qualche rigassificatore in più del necessario» ci dice Jacopo Giliberto che è appena tornato da un viaggio sulla nave metaniera Lerici che ha trasportato gas liquefatto da Algeri sino a Panigaglia.

«Provvedimento condivisibile - aggiunge Giliberto - solo che dai cinque o sei preventivati siamo arrivati ai 15 richiesti, dato che il meccanismo previsto dà la possibilità di avere la garanzia che anche in mancato utilizzo dell’impianto, ci sarà comunque la copertura dell’80% dei costi fissi».

Questo significa che qualsiasi imprenditore anche senza alcun contratto firmato con un fornitore di metano, potrà costruire – se avrà le autorizzazioni naturalmente - un rigassificatore, senza alcun rischio di impresa. I costi fissi dati dagli oneri di costruzione e le rate del mutuo della banca, che rappresentano il 95% dei costi dell’impianto, verranno infatti spalmati - sempre grazie alla delibera dell’Autority - sulle bollette dei consumatori finali.

A queste condizioni è facile fare l’imprenditore! Qualsiasi banca a questa condizione finanzierà qualsiasi progetto! Il problema sarà poi realizzarlo, dato che è indubbio che un meccanismo di questo tipo, porterà alla moltiplicazione delle contestazioni (quelle sì) sui territori dove si penserà di costruire questi impianti. E già la situazione non è facile anche con i pochi che potrebbero magari davvero servire. Ma tutto questo sistema non doveva servire oltre che a dare stabilità energetica al nostro paese, anche a far risparmiare i consumatori?

Tra l’altro questi già pagano in bolletta i costi aggiuntivi dovuti alla mancata realizzazione di un rigassificatore da parte di Enel che prima era previsto a Montalto di Castro, poi a Monfalcone e che poi per mancato consenso delle comunità locali non si è mai realizzato. Ma dato che il contratto con la Nigeria che era il fornitore (in quel caso c’era) doveva essere rispettato, l’Eni trovò un escamotage. Convinse Gaz de France ad accollarsi il gas nigeriano e di girarne una parte consistente all’Enel, che lo avrebbe rigassificato a Panigaglia. Ma tutto questo ha significato un aumento dei costi finali, che tanto per cambiare sono stati ripartiti – ancora una volta - sulle bollette.

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