[30/10/2006] Consumo

L´estremismo monotematico della crescita inciampa sull´ambiente

LIVORNO. Il terzo ottobre più caldo del secolo (a detta di Luca Mercalli) quello che dopodomani- pare- darà finalmente il testimone ad un novembre con temperature nelle medie stagionali.
La Coldiretti che già mette le mani avanti e allerta sull’emergenza agricoltura che potrà verificarsi per l’arrivo delle temperature più rigide su colture, che per effetto dell’estate ancora in essere, hanno stravolto il loro ciclo vegetativo.
L’economista britannico Nicholas Stern, ex dirigente della Banca Mondiale che presenta un rapporto, anticipato dal The Observer, che prevede la perdita da un minimo del 5% sino al 20% del prodotto mondiale lordo a causa del surriscaldamento del pianeta.


Non sono più i “soliti ambientalisti” a dare l’allarme sul surriscaldamento del pianeta e sugli effetti che questi hanno e avranno sulle dinamiche naturali, sociali ed economiche.

Le 700 pagine dello studio di Stern analizzano l’impatto del global warming sui diversi comparti produttivi e vi si calcola che le conseguenze dei cambiamenti climatici sul pil mondiale da qui al 2100, potrebbero costringere i governi del pianeta a spendere, per il loro risanamento, una cifra attorno ai 5,5 trilioni di euro. Se non si affrontera´ il problema in maniera risolutiva entro i prossimi dieci anni.

Gli squilibri climatici che porteranno da una parte all’aumento dei livelli dei mari e quindi a inondazioni di interi territori, dall’altro all’estensione delle aree desertiche e di conseguenza ad erodere le aree coltivabili, avranno come immediata conseguenza che milioni e milioni di persone –definite ormai con il termine di profughi ambientali, saranno costrette a trovare nuovi spazi vitali, e questo sarà alla base del collasso di sistemi sociali e di equilibri politici a livello mondiale.

L´aumento delle temperature medie - 3,5 gradi negli ultimi 20 anni in alcune zone - rende le zone aride sempre piu´ aride e quelle umide sempre piu´ umide. Il risultato già evidente nella sola Africa sub-sahariana, è che 25 milioni di persone hanno sofferto la fame lo scorso anno. Questo è l´allarme lanciato da un altro studio sul clima, “Up in Smoke 2”, fatto da un gruppo di Ong britanniche - Oxfam, la New Economics Foundation e il Working Group on Climate Change and Development, che raccoglie organizzazioni umanitarie ed ecologiste - per il quale gli aiuti economici all´Africa vengono vanificati proprio dall´aggravarsi delle conseguenze dell´effetto serra.



Allarme che già sabato dalle colonne del sole24ore lanciava Jeffrey Sachs, direttore dell’Earth Insitute della Columbia University, che a proposito della crisi del Darfur in Sudan segnala che la vera origine del conflitto in quella regione è l’etrema povertà resa ancora più drammatica da una siccità che a partire dagli anni ’80 non si è mai fermata. Evidenziando come le pressioni ambientali stiano erodendo redditi e standard di vita in tutto il mondo e come gli stress ambientali abbiano un effetto sull’innalzamento dei prezzi delle risorse primarie, quali l’acqua e i prodotti alimentari in molti paesi del mondo.

La cosa incredibile è –come sottolinea Sachs- che a fronte di una crisi idrica nella regione del Darfur, che avrebbe bisogno di strategie mirate a risolvere il problema di come dare acqua a persone e animali assetati e a terreni aridi e quindi infertili, le risposte siano invece incentrate su sanzioni e interventi militari.

“La mancanza di acqua sta diventando un ostacolo allo sviluppo economico in molte parti del globo- sottolinea Sachs- eppure miliardi di dollari vengono spesi per gli armamenti e niente per risolvere la crisi dell’acqua”

E tra l’altro, si legge nell’articolo di Sachs, la crisi dell’acqua è destinata ad ampliarsi per effetto dei cambiamenti climatici, che stanno sconvolgendo non solo le precipitazioni, ma anche le portate dei fiumi, a causa della riduzione dei ghiacciai. “Quindi –continua Sachs- i governi del pianeta dovrebbero rendersi conto che i trattati firmati negli ultimi anni su clima, ambiente, biodiversità, sono importanti per la sicurezza mondiale almeno quanto le zone di guerra e i budget militari”.

Esattamente il contrario di quello che a livello planetario invece si pratica.

Ovvero anziché concentrarsi sulle questioni di fondo poste dai temi dello sviluppo sostenibile, e cioè limite delle risorse naturali, erosione continua del capitale naturale, accelerazione dei fenomeni di squilibrio, ci si interroga in maniera trasversale su come far ripartire la crescita, i consumi, unici motori dell’economia nel sentire diffuso. Su quali mercati riuscire a conquistare.

Mentre è sempre più evidente, e non per astruse teorie ambientaliste, che proprio i temi dello sviluppo sostenibile stanno dimostrandosi il vero fattore limitante delle crescita. L’economia globale sta trovando sulle questioni ambientali un freno ma ancora non sembra che da parte dei governi vi siano veri segnali di comprensione dell’urgenza di intervenire per ritrovare un giusto equilibrio.

Tornare indietro non è più possibile, a detta di Dennis Meadows , che già trent´anni fa, poneva il tema dei “limiti dello sviluppo” e che sottolinea che il termine giusto della traduzione nella nostra lingua è crescita.

Il count-down per il pianeta e´ ormai partito, e lo sfruttamento delle risorse è già oltre ogni limite come ha evidenziato anche il Living Planet Report del Wwf.

“Si sta prospettando il limite massimo di sfruttamemnto delle risorse petrolifere, energetiche, alimentari e idriche´´, quindi secondo Dennis Meadows, “siamo di fronte a un sistema economico che non genera più una ricchezza reale nuova e quindi l´unico modo che si ha per accumulare ricchezza è toglierla ad altri´´.

Ma prima ancora del limite dell’esaurimento delle risorse, potremo trovarci di fronte al limite del riscaldamento. Lo abbiamo sottolineato più volte dagli articoli di questo quotidiano e lo riafferma anche Giorgio Ruffolo oggi su la Repubblica, che come aveva già detto in una intervista a Greenreport, non si tratta di arrestare la crescita e di frenare ogni sorta di sviluppo, ma di individuare le forme per raggiungere una sorta di steady state, ovvero un equilibrio in divenire che permetta ai paesi che devono ancora raggiungere livelli di sviluppo a garanzia di benessere sociale di farlo, e ai paesi ricchi di ridurre gli sprechi.

Il problema che si pone è quindi quello di trasformazione dei valori fondamentali, per passare dalla crescita quantitativa al progresso qualitativo, e ad una ridistribuzione dei beni per restringere la forbice tra i pochi (circa un terzo) che sono sempre più ricchi e consumano, tre volte più della restante popolazione, le risorse del pianeta.

“Qui non si tratta di ecologia- sottolinea Ruffolo – ma di economia. E di economia molto politica”. E’ esattamente così. Ma fintanto che il dibattito che c’è sulle sorti del pianeta non incrocerà il dibattito che si tiene nei banchi della politica e dell´amministrazione locale, resterà poco più che un esercizio di stile. E fintanto che la politica, magari tronfia di retorica modernista, quando anche incrocia l’ecologia, lo fa con l’atteggiamento di chi crede che qualcuno stia disturbando il manovratore e che l’economia è altra cosa, il cambiamento necessario rimarrà una chimera.

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