[31/10/2006] Consumo

Riorientare l´economia

LIVORNO. Non più solo gli ambientalisti, non più solo i partiti dell’area verde, non più solo gli eco-economisti, adesso è l’intero governo britannico, Blair in testa, a evidenziare che senza sostenibilità salta l´economia stessa.
Esempi già in atto in molte aree del pianeta, dove si muore di fame a ritmi crescenti come ha annunciato il rapporto della Fao, di sete come richiamava qualche giorno fa Jeffrey Sachs, di inquinamento, a causa degli sconvolgimenti climatici. Segno che questi effetti considerati gestibili fino a qualche anno fa quali effetti fisiologici di un sistema guidato dal Pil sono, già oggi, sfuggiti di mano.

Non sono più controllabili secondo quegli schemi, e c’è la urgente necessità di riorientare le politiche economiche e industriali verso i parametri della sostenibilà ambientale. Non è affatto vero, e appartiene all´ideologia del secolo scorso dunque, che "crescita è uguale benessere", come ancora in questi giorni abbiamo sentito affermare dai pulpiti del convinto riformismo nostrano.

Non a caso, la preoccupazione del governo Blair (che non è propiamente annoverabile fra gli estremisti monotematici), sui rischi ambientali dovuti alle conseguenze dell’effetto serra, deriva dal rapporto presentato dall’economista Nicholas Stern, attuale consigliere economico del tesoro, ex-capo della Banca Mondiale. Stern, come abbiamo visto ieri, indica gli impatti ambientali che deriveranno da qui al 2050, se l’attuale trend di produzione di anidride carbonica continuerà a questi ritmi, e i costi sul bilancio mondiale che s aarebbero pari al 20% del Pil. Ma nel rapporto di Stern viene anche individuata una serie di misure da prendere per evitare l’irreparabile e cambiare rotta. Per evitare quello scenario si dice infatti che si dovrebbe contenere la produzione di Co2 entro un range compreso tra 450 e 550 parti per milione, che costerebbe, all’anno, l’equivalente dell’1% del pil mondiale. Poca cosa rispetto alla stima del 20% che si perderebbe se ci attardassimo a chiamare moderno ciò che è antico e continuassimo come se il problema ambientale fosse "solo" un problema di salvaguardia.

Riguardo alle modalità, sono tre le linee guida proposte: dare un prezzo alle emissioni attraverso la tassazione, la regolamentazione o la creazione di un mercato con un sistema di debiti per chi inquina e di crediti per chi non inquina. Promuovere l’innovazione tecnologica per ridurre attraverso questa via le emissioni e infine un’azione coordinata a livello internazionale.

Niente di nuovo per chi si occupa del settore, infatti tra le tre linee guida non fanno altro che ripercorrere quello che si era cercato di mettere in atto con il protocollo di Kyoto, seppur con obiettivi ritenuti ormai modesti e con l’azione resa azzoppata dalla mancata ratifica di colossi industriali quali gli Usa e anche l’Australia.

Del resto il richiamo alla necessità di una azione concertata a livello internazionale suona come un invito affinchè Blair, si faccia promotore di una iniziativa europea che tenti di riportare anche gli Usa su una politica di contenimento delle emissioni di Co2, che proprio dal prossimo Cop12 di Nairobi, ovvero la Conferenza delle parti sulla Convenzione sui cambiamenti climatici, potrebbe vedere un nuovo atteggiamento da parte del governo Bush.

Del resto se da una parte una maggiore concretezza nelle politiche degli stati europei per il rilancio del protocollo di Kyoto è assolutamente necessaria oltre che auspicabile, è anche ormai appurato che senza gli Usa, ottenere un vero cambio di clima, è assai improbabile.

Ma i segnali che arrivano dal paese a maggiore produzione di Co2, sembrano più improntati all’approccio della ricerca dei rimedi che alla prevenzione. L’amministrazione Bush ha infatti puntualizzato le sue priorità che proseguono nel solco segnato di non rivedere affatto l’american style of life, ma di incentivare i programmi di ricerca per trovare soluzioni tecnologiche a valle del problema.

Programmi che sembrano segnare però gravi ritardi anche in progetti come quello per disperdere nel sottosuolo il 100% delle emissioni di Co2 prodotte da un impianto di produzione di energia elettrica alimentato esclusivamente a carbone, nato con l’obiettivo di esportarlo in Cina. Ma ancora non è stata decisa la sua ubicazione sul suolo americano e non sarà pronto sino al 2012. Forse.

Intanto il riformismo modernista nostrano scruta gli auspici e spera in una crescita del 2% per l´anno in corso e del 3% per il prossimo. A prescindere, come diceva Totò.

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