[02/11/2006] Rifiuti

Del Lungo: riformare il sistema o sarà il collasso delle raccolte differenziate

FIRENZE. Claudio Del Lungo, già presidente del comitato di verifica sull’accordo nazionale Anci-Conai, è adesso a capo del Comitato di coordinamento Anci-Conai. Dal suo punto di osservazione nazionale lancia un allarme sul sistema delle raccolte differenziate e delle filiere del riciclaggio, dicendo che siamo vicini al collasso.

Del Lungo, la situazione è davvero così drammatica come la dipinge?
«Il quadro della situazione è quello di un sistema in cui pochi dettano le regole e nessuno controlla che queste regole vengano rispettate. Coreve, il consorzio del vetro dominato di fatto da Saint Gobin, non ha mai accettato di far parte dell’accordo nazionale Anci-Conai. Perché il suo interesse è raggiungere l’obiettivo (facile visti i dati) di recupero al 65%. Quindi fanno in modo che il vetro raccolto dalle aziende si accumuli nei piazzali delle piattaforme e poi comprano a basso prezzo. Il resto nemmeno lo considerano e quindi poiché si raccoglie più vetro di quanto si recupera c’è rischio che si torni indietro sulle raccolte differenziate».

Ma Coreve lamenta la bassa qualità del vetro che proviene dalle raccolte.
«Non è assolutamente vero, perché le raccolte vanno alle piattaforme, dove vengono selezionate, e gli standard di qualità dei materiali che provengono dalle piattaforme sono ottimi. In realtà Coreve ricatta le aziende perché è praticamente monopolista del settore».

E sugli altri materiali? Pochi giorni fa Greenreport ha riportato la notizia di una azienda piemontese (Demap) che recupera plastica post-consumo e che per la bassa qualità è costretta ad inviarne il 20% in discarica.
«Con Corepla, il consorzio della plastica abbiamo un contenzioso, che non si chiude sull’arretrato dei contributi del 2004. Corepla non riconosce 6 dei 9 milioni di euro che spettano alle aziende, perché afferma che i materiali contenevano traccianti in quantità superiore al pattuito. In realtà solo 2 campioni su 150 erano fuori. Chi aveva parametri fuori sino al 99% sono imprese private che operano nella manifattura e trasformazione di prodotti plastici, film ecc. Loro sono state pagate e le aziende pubbliche no. In realtà stabiliti i criteri, il riconoscimento del contributo spettante non può essere oggetto di trattativa, e dato che le aziende conferiscono prodotti di qualità..».

Ma un problema di qualità delle raccolte differenziate, non troppo selettive, c’è ed è innegabile, basta vedere la situazione dei cassonetti nelle nostre città.
«Chi fa la grande massa fa qualità. Poi c’è un problema di comportamenti del cittadino. Nelle nostre città solo il 50% dei cittadini fa la raccolta differenziata, il resto nemmeno ci prova».

Ci sarà anche un problema di scarsa informazione?
«Spesso anche chi ha avuto informazione capillare o non la fa la raccolta differenziata o la fa male. Ma anche su questo c’è da dire che il sistema Conai non funziona.
Conai investe in pubblicità 50 milioni di euro, che – secondo quanto stabiliva il decreto Ronchi - dovrebbe essere tutta concordata con Anci.
In realtà con l’ultimo accordo siglato a livello nazionale abbiamo già abdicato, accettando di firmare che il 35% della pubblicità a livello locale fosse concordata. Adesso siamo arrivati al punto che di questo 35% di pubblicità, solo il 15% viene concordata. Perché il Conai riceve proposte direttamente dalle aziende e quelle vengono finanziate».

Insomma tutte le responsabilità a valle delle raccolte e nessuna su un sistema che forse invece in molte realtà andrebbe rivisto perché troppo rigido?
«Si possono individuare tutte le responsabilità sulla raccolta ma se poi non ti ritirano il materiale, serve a poco. Il sistema dei consorzi ti riconosce certe percentuali d’impurezza e quando hanno raggiunto l’obiettivo del 65%, ti dicono arrangiatevi. Il sistema basato sul porta a porta costa di più e quindi si deve aumentare la tariffa. E i costi ricadono alla fine sul cittadino. Allo stesso modo Comieco e Coreve hanno raddoppiato il costo del contributo ambientale ai loro soci, e spalmeranno questi aumenti sui costi finali al consumatore. Il sistema non può funzionare così, tutti i costi del Conai ricadono sui cittadini ma a questi ne ritornano a mala pena 1/5 di quanti il Conai ne gestisce, ovvero 80 milioni su 300».

Quindi secondo lei bisogna cambiare il sistema?
«Sì, io credo che intanto vadano rivisti gli obiettivi e che vadano modulati sulla base dei risultati. Inoltre il sistema dovrebbe essere omogeneo e controllato. Il ministero deve modulare gli obiettivi, stabilire gli standard e definire quanto è il contributo che i consorzi chiedono ai loro soci, quanto di questo deve tornare alle aziende per la raccolta. Tutto quello che rimane, per differenza, è quanto deve costare il Conai».

Potrebbe svolgerlo l’Osservatorio questo ruolo?
«Va bene anche l’Osservatorio, l’obiettivo ripeto è quello di controllare il Conai. Abbiamo verificato i sistemi di riciclaggio in tutta Europa. Normalmente la filiera del riciclaggio e del recupero è più controllata e più regolamentata negli altri paesi, in Italia il sistema è lasciato a se stesso. Quindi è necessario riformare questo sistema pena il collasso delle raccolte differenziate. La riforma in corso del 152 può essere l’occasione di dare un segnale forte in questo senso».

E della proposta di Sodano di commissariare i comuni chi non fanno raccolta differenziata che ne pensa?
«Se il commissariamento è un modo di trovare i soldi bene, ma se è una punizione no. Il problema non è tecnico, ma politico ed economico. Organizziamo un grande convegno sulle raccolte differenziate che metta a fuoco i punti che fanno inciampare il sistema, che ripeto non sono tecnici ma economici e politici. Se si guarda il pil a livello regionale, si vede bene che le raccolte differenziate sono correlate al pil: dove si hanno maggiori risorse si investe di più nelle raccolte».

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