[21/11/2006] Comunicati

Capitale verde, economia ecologica, governance globale

LIVORNO. I Verdi italiani lo hanno chiamato “capitalismo verde”, i loro colleghi tedeschi parlano di “economia di mercato verde”, ma il senso è sempre lo stesso: cercare la chiave di volta per mettere in pratica la consapevolezza che con l’ambiente si può fare business. E se l’economia comincia a girare sui temi ambientali, allora la partita del futuro del pianeta può essere giocata.

Del resto anche per quanto riguarda il problema dei cambiamenti climatici, potremo dire che la “notizia “ dalla conferenza di Montreal a quella appena conclusa di Nairobi- per prendere due punti di riferimento significativi- è data dal fatto che adesso il tema è diventato non solo al centro del dibattito scientifico e ambientalista, ma è soprattutto divenuto un tema di natura economica.

E il panorama comincia ad arricchirsi di esempi concreti in tal senso, ovvero di imprese che investono in settori prima ignorati, che puntano sulle tecnologie innovative e che qualificano il proprio personale ad esempio nel campo delle energie alternative, oppure società che nascono per guadagnare sull’efficienza energetica, come è il caso delle Esco, Energy Service Company. Le Esco sono nate in seguito a due decreti del Ministero delle Attività Produttive, uno relativo al Gas e l’altro relativo all’elettricità, del 2004 ,che individuano gli obiettivi per l’incremento dell’efficienza energetica. I provvedimenti impongono alle aziende distributrici con più 100 mila utenti di realizzare attività di risparmio energetico presso i propri clienti. L’ammontare del risparmio “obbligatorio” che ogni distributrice deve generare è stabilito dall’Autorità per l’energia elettrica e il gas, e per chi non provvede al raggiungimento dell’ammontare stabilito, sono previste sanzioni economiche.Per evitarle, le aziende possono acquistare titoli di efficienza energetica da altri soggetti che abbiano realizzato interventi di risparmio energetico (anche senza averne l’obbligo), riconosciuti dall’Autorità per l’Energia e per il Gas, che non sono altro che le Esco.
Questi titoli sono chiamati in gergo “certificati bianchi” e possono essere rivenduti in un mercato apposito, ove chi non ha raggiunto l’ammontare di risparmio obbligatorio li acquista per evitare sanzioni.

In pratica una Esco opera in questo modo: fa una valutazione dell´efficienza energetica di un determinato sistema che sia una fabbrica, l’illuminazione pubblica o quant’altro, valuta gli interventi possibili per migliorarla e i costi energetici del sistema prima dei miglioramenti previsti. A proprie spese la Esco realizza gli interventi necessari per conseguire il miglioramento di efficienza e la sua remunerazione avviene attraverso il risparmio che ottiene sui costi della bolletta energetica del sistema in oggetto per un certo numero di anni. Nel caso ad esempio dell’illuminazione di una amministrazione pubblica, dopo un certo numero di anni (sufficienti per ammortizzare i costi e garantire un margine di guadagno per la Esco), la gestione torna all´amministrazione pubblica, che si ritrova un impianto energetico efficiente e capace di ampi margini di risparmio. L’intervento di miglioramento di efficienza energetica, fa guadagnare alla Esco anche l’acquisizione di titoli di efficienza energetica, i cosiddetti certificati bianchi, che potrà poi rivendere sul mercato.

Un meccanismo che sta innescando la trasformazione o la nascita ex novo di aziende e società esperte nel settore con la conseguenza di minori consumi di energia grazie alla maggiore efficienza e quindi una quota di inquinamento evitato.

In Inghilterra c’è chi ha pensato di intervenire nel sistema della vendita dei titoli del protocollo di Kyoto, mettendo in piedi una società di investimenti climatici che ha già all’attivo quasi un miliardo di dollari.

La Climate Change Capital, è infatti la prima società al mondo che investe sui certificati di emissione previsti dal Protocollo di Kyoto ed il suo co-fondatore James Cameron, è un esperto di diritto internazionale che è riuscito a coniugare la finanza con l’idea di mettere in pratica azioni che fossero utili al genere umano.

Il meccanismo è semplice e si basa su un articolo (il 12) previsto proprio da Protocollo di Kyoto, il clean development mechanism, che riconosce diritti di emissione a chi investe per fornire ai Paesi meno industrializzati tecnologie necessarie a ridurre le emissioni di C02. Ogni certificato vale una tonnellata di C02 e può essere messo in commercio sul mercato delle emissioni. I clienti di questo mercato saranno le aziende dei paesi che aderiscono al protocollo di Kyoto- come l’Italia- che non saranno state in grado di rispettare gli obiettivi di emissione che il proprio paese avrà prescritto, secondo i piani di allocazione nazionale. Attualmente il costo di una tonnellata di C02 sul mercato europeo è di circa 9 euro a tonnellata, ma potrebbe essere destinato a crescere data l’attuale scarsa adempienza dei paesi aderenti al protocollo agli obiettivi fissati. Le concessioni sull´inquinamento fatte dai governi aderenti al protocollo alle proprie industrie nel piano 2005 di allocazione, sono state infatti superiori rispetto a quelle richieste, e questo ha determinato un crollo dei prezzi del carbonio da circa 20 euro a tonnellata agli attuali 9.

Il primo investimento fatto dalla Climate Change Capital, riguarda l’ambientalizzazione di una azienda chimica cinese che sta a sud di Shangai, attraverso la riduzione delle emissioni di un gas climalterante mille volte più potente dell’anidride carbonica, al costo- per la società britannica- di 300 milioni di dollari, e a costo zero per i cinesi. In cambio la CCC si è guadagnata però certificati di Kyoto pari a 29,5 milioni di tonnellate di Co2 che al costo attuale di 9 euro a tonnellata rappresenta già un bel guadagno per l’impresa, ma che sarà quasi certamente destinato a crescere. L’investimento è stato possibile grazie ad un altro fondo di investimento che attraverso solo quattro sottoscrittori (due fondi pensioni olandesi, e due banche) ha raccolto oltre un miliardi di dollari, quindi assai di più del costo dell’intervento sulla fabbrica cinese.

I risultatati del vertice di Nairobi che ha ottenuto di fatto il risultato (non scontato) che Kyoto non verrà chiuso ma che al momento ha fatto tante promesse, come quella di ridurre il 50% delle emissioni entro il 2050, rimandando però tutte le decisioni relative all’estensione del protocollo, ha creato qualche fibrillazione negli investitori, come dichiara lo stesso Cameron che però guarda fiducioso alle conclusioni del rapporto Stern in cui si prevede la necessità di investire migliaia di dollari (l’1% del pil mondiale) per salvare il pianeta. Allora come dice Cameron “l’idealismo può anche portare a risultatati pragmatici”. Come dire, non solo che l’economia ecologica non è una boutade ma che non lo è più neanche la finanza ecologica.
Dello stesso avviso sembrano essere ad "AzzeroCo2", una iniziativa promossa e supportata da Legambiente, Kyoto Club e Ambiente Italia, nata con lo scopo di neutralizzare le emissioni di gas serra prodotte dai consumi di energia e di materia che sono associate ad una particolare attività o a un prodotto, e che non rientrano negli schemi governativi obbligatori per la riduzione dei gas serra come il protocollo di Kyoto e l’European trading scheme. Le emissioni che possono essere neutralizzate da AzzeroCO2 sono ad esempio quelle prodotte dai consumi energetici di conferenze, fiere, festival, eventi sportivi ma anche uffici e viaggi.

Il processo di neutralizzazione delle emissioni di gas serra può essere compensato totalmente attraverso l´acquisizione ed il successivo annullamento di un pari quantitativo di crediti di emissioni.

La compensazione viene certificata da CarbonNeutral®, il marchio leader di qualità ambientale per la compensazione delle emissioni di gas serra, sviluppato da the Carbon Neutral Company secondo un protocollo ben definito e che sul mercato italiano è rilasciato solo da "AzzeroC02". Analogamente, tutti i crediti acquistati da AzzeroCo2 sono di tipo VER (Verified Emissions Reductions), ovvero crediti verificati da una terza parte indipendente.

Da un punto di vista metodologico, le emissioni di gas serra vengono calcolate in base ai consumi energetici e di combustibile usando metodologie appositamente sviluppate e standard di conversione riconosciuti internazionalmente. Successivamente si identifica un progetto di energia rinnovabile, efficienza energetica o di riforestazione in Italia o all´estero (prevalentemente in un paese in via di sviluppo) che sia considerato idoneo per il rilascio di crediti di emissioni sul mercato internazionale. Una volta che i crediti idonei al progetto sono stati identificati, si procede con l´acquisizione di un numero di crediti pari alle emissioni prodotte, che vengono quindi annullate.

Insomma qualcosa si muove, ma quello che ancora manca è quella che viene definita una governance e una leadership complessiva.

A fine mese il commissario dell´ambiente dell´Ue si pronuncerà sui piani di allocazione presentati dagli stati membri e ha già annunciato che fornirà dei piani d´azione alternativi a quei paesi che non hanno applicato i tagli sufficienti a raggiungere gli obiettivi sul cambiamento climatico stabiliti nel protocollo di Kyoto.

Dimas ha rinnovato l´appello ai paesi dell´Unione Europea a fornire severi piani d´azione sui tagli alle emissioni per il periodo 2008-2010, dato che i dati raccolti nel 2005 hanno evidenziato che i governi hanno fatto più concessioni alle industrie sull´inquinamento rispetto a quelli richiesti, portando ad un crollo dei prezzi del carbonio e ad un ricorso limitato a progetti CDM (secondo il Clean development mechanism) realizzati nei paesi in via di sviluppo.

“Non permetterò che il sistema di scambio del carbonio ne soffra”, ha detto il commissario Dimas.

Forse l’Europa si vuole muovere davvero?

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