[22/11/2006] Aria

C02, in Toscana si sperimenta lo stoccaggio a 800 metri di profondità

RIBOLLA (Grosseto). L’annuncio lo ha dato direttamente Enzo Boschi, presidente dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (Ingv) durante la conferenza mondiale sui cambiamenti climatici di Nairobi: l’Ingv realizzerà in Toscana il primo impianto pilota per la cattura e stoccaggio della CO2 che verrà realizzato in collaborazione con Enel Ricerca di Pisa.

Inizialmente le alternative per stoccare nel “reservoir” la CO2 erano due: un acquifero salino costiero o un tratto vicino alla costa del Mar Tirreno, dove si sarebbero potute imprigionare decine o centinaia di milioni di tonnellate di anidride carbonica, oppure il deposito carbonifero profondo di Ribolla, dove si stanno valutando le potenzialità Enhanced Coal Bed Metane (Ecbm).

La scelta è ricaduta su Ribolla, anche se lo stoccaggio potenziale è molto minore ma, proprio per questo, sarà più facile trattarlo. L’altro sito prescelto sono le miniere di carbone del Sulcis in Sardegna.

Si tratta della prima sperimentazione italiana di stoccaggio di anidride carbonica di origine industriale, e proveniente da combustibili fossili, metano, petrolio e carbone, che sono i maggiori responsabili dei sostanziale ai cambiamenti climatici e di surriscaldamento o effetto serra, una sperimentazione che da noi sembra molto legata all’abbattimento di gas serra che verrebbe prodotto dalle cosiddette centrali a carbone pulito della cui realizzazione si sta molto parlando e che presentano proprio l’insormontabile problema dell’impossibilità di abbattimento delle emissioni di gas serra.

Infatti “Ecbm Sulcis”, il maggiore dei due progetti, è pensato per la miniera di carbone che sta per passare in gestione a privati ed alla regione Sardegna che intende costruirci una centrale elettrica alimentata proprio dal carbone del Sulcis, le cui emissioni di Co2 verranno direttamente iniettate oltre gli 800 metri di profondità nella parte più profonda e non sfruttabile dei giacimenti.
«La cattura e lo stoccaggio geologico della CO2, in inglese carbon capture and storage, Ccs – dice il professor Boschi - è quindi uno strumento importante per la lotta ai cambiamenti climatici ormai in corso, in quanto risolve alla radice il problema delle emissioni di questo dannoso gas serra, evitandone l’immissione in aria e rispedendolo “al mittente” sottoterra, dove nel tempo si autosigilla diventando roccia».

Anche se la tecnica del Ccs non è ancora inclusa tra le misure di contenimento delle emissioni di CO2 del protocollo di Kyoto, è già stata sperimentata con successo in altre parti del mondo, con numerosi progetti di ricerca in corso o già conclusi, come l’importante progetto canadese “Weyburn”, al quale ha partecipato l’Ingv, gli altri due più importanti impianti trasformati in depositi di CO2 sono quelli di Sleipner in Norvegia e In Salah in Algeria, ognuno dui questi tre siti ogni giorno riesce a disfarsi, di 3/5 mila tonnellate di anidride carbonica.

Intanto l’Ingv, insieme a Cesi Ricerca spa, sta anche svolgendo, per conto del ministero dello sviluppo economico, l’indagine per la stesura di un elenco di altre zone per lo stoccaggio della CO2
La CO2 può essere stoccata per “iniezione” in giacimenti semiesauriti di petrolio, in acquiferi salini profondi e in strati profondi di carbone che non più estraibile. La scelta di siti delle miniere esaurite è la più semplice, sia per questioni di sicurezza, visto che la CO2 si lega subito con il carbone al posto dell’eventuale metano e il sigillamento risulta immediato, sia per il numero limitato di giacimenti di carbone esistenti in Italia, i maggiori dei quali sono proprio quelli del Sulcis e di Ribolla.

«Il progetto Ecbm Ribolla, dal nome della vecchia miniera di carbone che ha cessato l’attività circa 50 anni fa - spiega Roberto Bencini, ricercatore e specialista del settore - invece, è legato alla possibilità di imbrigliare le attuali emissioni di CO2 prodotta nel campo geotermico di Larderello, che tuttavia non sono enormi: circa il 4% del vapore estratto. A Ribolla, il deposito geologico in cui sarà iniettata la CO2 consiste in un giacimento di carbone che scende fino oltre gli 800 mt di profondità, che sarà preventivamente privato del metano contenuto nel carbone stesso per fare spazio alla CO2. Questo processo preliminare di estrazione del metano avrà la durata di alcuni anni».

Infatti, nei giacimenti di carbone si trovano di solito quantitativi anche commercialmente interessanti di gas metano e prima si estrarrà e utilizzare questo gas e poi si immetterà la CO2, che faciliterebbe l’estrazione del metano residuo.

«Si tratta di due importanti progetti pilota che intendono portare il nostro Paese sul fronte più avanzato degli studi finalizzati ad eliminare l’anidride carbonica prodotta da impianti industriali per la generazione elettrica - spiega il prof Enzo Boschi - L’Italia, dopo avere attivamente partecipato al grande progetto internazionale di Weiburn di stoccaggio della CO2 in Canada, passerà a sperimentare direttamente le tecnologie di sequestrazione e di stoccaggio geologico di questo gas serra, a tutto vantaggio dell’ambiente».

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