[22/11/2006] Consumo

Acquisti compulsivi: oniomania o pil-mania?

LIVORNO. In tutto il mondo i governi continuano ad essere inchiodati a ricercare la crescita (del pil), spingendo a produrre di più per far consumare di più.
Del resto anche le associazioni dei consumatori sono spesso impegnate con le loro battaglie a ottenere prezzi più bassi che nei fatti spingono a maggiori consumi.

Gli istituti di statistica poi, fotografano una situazione di italiani sempre più poveri e individuano spesso nel nuovo povero (relativo) colui che non riesce ad acquistare almeno quanto acquista la media degli italiani. Senza considerare che qualcuno potrebbe anche non acquistare perché magari non ne ha bisogno. Ma questi rari casi in un sistema dominato dalla crescita e dall´aumento dei consumi per far crescere il prodotto interno lordo sono le "mele marce" che magari le mele le prendono dall’albero che hanno in giardino, invece che al supermercato.

Le mele sane, secondo questa logica di mercato, invece sono quell’8% di esseri umani a rischio di oniomania, l’impulso morboso che spinge a comprare qualcosa. O il 5% di italiani con un’eccessiva propensione all’acquisto (il 75% donne). E che secondo un’indagine pubblicata sull’ultimo numero di Mente & Cervello rilanciata oggi da Repubblica, per guarire dalla sindrome da shopping compulsivo avrebbero bisogno dell’intervento di uno specialista che tiene il paziente in terapia per un periodo compreso tra 6 settimane e sei mesi. ( e quindi di ulteriore "consumo", dalle prestazioni mediche ai farmaci, ai trasporti...).

Si potrebbe anche obiettare sull’attendibilità della notizia, dell’inchiesta, e delle percentuali date a partire da quell’8%. Sovrastimando infatti nel 30% la popolazione benestante del pianeta significa che 1 benestante su 4 sarebbe a rischio di oniomania (si suppone infatti che il povero, non quello relativo ma quello vero, rischi maggiormente di morire di fame piuttosto che di contrarre l’oniomania). Ma ciò vorrebbe dire che gli italiani sono un popolo virtuoso dove soltanto il 5% (rispetto al 25% della media dei Paesi benestanti) rischia di contrarre la sindrome da shopping.

Ma finite le considerazioni preliminari che mitigano l’impatto della malattia dello shopping, dovremmo comunque rilevarne l’esistenza. Del resto la dipendenza dagli acquisti, anche detta shopping compulsivo, viene descritta per la prima volta dallo psichiatra Emil Kraepelin nel 1915 per poi essere validata e ribattezzata nel 1924 in oniomania dal suo collega Eugene Bleuler, fino alla scoperta in tempi più recenti della dopamina, una sostanza che si libererebbe facendo shopping e che dà al cervello un momentaneo senso di soddisfazione.

Ma si può fermare il progresso che fa crescere il pil, che fa produrre di più e (forse) meglio, che fa consumare di più (e forse peggio)? O forse la domanda è sbagliata e il progresso non c’entra nulla con la crescita a tutti i costi? E magari il progresso è un’altra cosa, è sviluppo, ed è qualcosa di perfino sostenibile per il pianeta? Infine, non è che raggiungere lo sviluppo sostenibile darebbe ugualmente un gran senso di soddisfazione, e nemmeno troppo momentaneo?

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