[22/11/2006] Comunicati

Legambiente chiede al Parlamento una riforma di civiltà

E’ dal 1994 che Legambiente chiede al Parlamento italiano di introdurre i delitti contro l’ambiente nel codice penale e le prime proposte di legge in questo senso risalgono al 1997, e sono sempre scomparse tra le iniziative parlamentari in attesa di discussione. Attualmente, ad esclusione dell’ex articolo 53 bis del decreto Ronchi (oggi articolo 260 del nuovo Codice ambientale 152/06) che ha introdotto il delitto di “organizzazione di traffico illecito di rifiuti”, ci si affida a un debolissimo apparato legislativo. Intanto, si legge in una nota dell’associazione «Il businnes dell’ecomafia dal 1994 ad oggi ammonta a quasi 180 miliardi di euro e i clan criminali coinvolti nell’illegalità ambientale sono 202. Numeri da capogiro ma che da soli non sono bastati a far comprendere l’urgenza di inserire i delitti ambientali nel codice penale».

Proprio di questo si è discusso oggi a Roma nel corso al convegno di Legambiente “la tutela dell’ambiente: una riforma di civiltà” che ha visto la partecipazione tra gli altri, di Alfonso Pecoraro Scanio, ministro dell’ambiente; Ermete Realacci, presidente della commissione ambiente della Camera; Paolo Russo, vice presidente della commissione agricoltura della Camera e già presidente della commissione parlamentare d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti; Pino Pisicchio, presidente della commissione Giustizia della Camera; ma anche di esperti di “edomafie” come Enrico Fontana, responsabile dell’osservatorio ambiente e legalità di Legambiente; Sergio Cannavò, coordinatore del centro di azione giuridica di Legambiente; Donato Ceglie, Sostituto Procuratore di Santa Maria Capua Vetere e coordinatore osservatorio nazionale sui crimini ambientali del ministero dell’ambiente; Roberto Pennisi, Sostituto Procuratore nazionale antimafia; Marco Marchetti, ricercatore Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia.

«Dopo dodici anni di attesa e di ingiustizia il tempo è scaduto. – ha detto il presidente nazionale di Legambiente Roberto Della Seta - L’introduzione dei delitti contro l’ambiente nel nostro Codice penale è una priorità, anzi la priorità per il nostro ordinamento giuridico. Un segnale di grande valore che questo Parlamento può trasmettere al Paese. Dalla scarsa tutela normativa dell’ambiente – continua Della Seta - scaturiscono infinite storie di giustizia negata, di impunità diffusa per chi ha rubato pezzi di territorio e disseminato brutture e degrado in ogni dove. Una riforma essenziale è quello che più urge per garantire un’effettiva tutela degli ecosistemi e della salute dei cittadini e per riportare la nostra legislazione agli standard europei in materia di tutela giuridica dell’ambiente. Si tratta insomma di fare ciò che paesi come Spagna e Germania hanno già fatto da tempo».
Chi provoca “distruzione o deturpamento di bellezze naturali” con costruzioni, demolizioni, rischia solo qualche migliaio di euro di multa (da 1.032 a 6.197); non è previsto il reato di cava abusiva, e intanto scompaiono intere montagne.

Eppure le cifre rese note da Legambiente parlano di un fenomeno vastissimo: «negli ultimi 12 anni, le violazioni alle normative ambientali accertate dalle forze dell’ordine sono state ben 321.034, altrettanto alto il numero delle persone denunciate e arrestate, 215.679 e i sequestri 68.067. I clan criminali coinvolti nell’illegalità ambientale sono 202, coprendo l’intero territorio nazionale. Il 41% delle infrazioni accertate dal 1994 ad oggi si concentra nelle quattro regioni a tradizionale presenza mafiosa: Sicilia, Calabria, Puglia e Campania». E le organizzazioni criminali hanno trovato nel ciclo dei rifiuti e del cemento una grande occasione di accumulazione di capitali, di riciclaggio e di controllo del territorio.

Sono 25.967 le infrazioni nel ciclo dei rifiuti accertate dalle Forze dell’ordine, con 7.613 e ben il 38% delle illegalità si concentra nelle solite quattro regioni.

Dal 1994 ad oggi sono stati accertate 70.150 infrazioni relative al ciclo del cemento, con 9.251sequestri, con sfruttamento abusivo di cave e greti di corsi d’acqua per il materiali di produzione del calcestruzzo. Anche qui il 44% dei reati si concentra nelle quattro regioni a tradizionale presenza mafiosa. .
E che dire dell’assenza nella legislazione del reato di furto di opere d’arte?. Il furto dal sottosuolo è punito come furto semplice, mentre lo scavo clandestino è sanzionato come una banale contravvenzione; subentra l’aggravante esclusivamente in caso di scavo autorizzato. Eppure secondo il comando dei carabinieri tutela patrimonio culturale il danno arrecato ogni anno al nostro Paese con i furti d’arte ammonta a circa 155 milioni di euro, senza contare il mercato clandestino dei reperti archeologici ed artistici.
«L’introduzione di questi reati nel codice penale è un atto dovuto – ha detto Enrico Fontana - per tutti quei cittadini che subiscono le conseguenze dei fenomeni di criminalità ambientale, per l’autorità giudiziaria e le forze dell’ordine impegnate nella persecuzione di reati gravi, pur non avendo gli strumenti adeguati per farlo; per tutte quelle imprese che investono nella qualità dei processi produttivi, nell’innovazione tecnologica, nel rispetto dell’ambiente e della legalità, costrette a fronteggiare una concorrenza sleale e impunita».

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