[07/12/2006] Consumo

Maracchi: I gas effetto serra si misurano, non sono ipotesi!

LIVORNO. Nonostante che le notizie che arrivano da ogni parte del mondo sembrino confermare che i cambiamenti climatici sono ormai un fenomeno quotidiano e che saranno destinati ad aumentare nei prossimi anni, c’è ancora chi invece sostiene che sarebbe meglio destinare le risorse per risolvere altri problemi che affliggono il pianeta. Come l’economista Emilio Gerelli che oggi dalle pagine di Nova, (supplemento del Sole 24Ore), mette in discussione i dati sul surriscaldamento globale e il rapporto Stern che su quei dati basa le sue conclusioni e l’esortazione ad agire subito.

Ne abbiamo parlato con Giampiero Maracchi, climatologo e direttore dell’istituto per l’agrometeorologia e l’analisi applicata all’agricoltura e del Cnr Ibimet di Firenze.

Ma insomma questo dibattito sui cambiamenti climatici non si placa nemmeno di fronte all’evidenza?
«Sono convinto che i cambiamenti climatici siano una realtà perché mi riferisco a quello che si sta registrando negli ultimi dieci anni, e se esiste un principio di precauzione e i fenomeni si vedono, allora bisogna intervenire.
La concentrazione dei gas effetto serra si misura, non è un´ipotesi ed è aumentata oggi sino a 280 ppm e se arriva ai 500 ppm gli effetti che si registreranno saranno ancora più massicci».

Infatti il problema si pone semmai sulle previsioni che risultano difficili perché il clima non è un sistema lineare e risente delle variazioni che avvengono in atmosfera?
«Le previsioni sono difficili, ma i dati di fatto dimostrano che i cambiamenti climatici ci sono e sono chiari. Queste cose stanno succedendo ed è bene che se ne tenga conto. E poi il problema dell’uso dell’energia va al di là dei cambiamenti climatici».

Si spieghi meglio
«Noi utilizziamo una quantità eccessiva di risorse, ma la terra è finita e le risorse stanno finendo. Le fonti fossili con cui si fa l’energia una volta usate non si riciclano, sarebbe opportuno pensare ad una civiltà che si indirizzi verso usi, comportamenti e stili di vita, che ne tengano conto. Anche perché il livello di benessere attuale è illusorio. Sui paesi industrializzati di fatto succede che la qualità della vita è migliorata per esempio la salute. Le cateratte sessant’anni fa erano invalidanti, adesso si operano in ambulatorio Così come altre cose.
La fame, il freddo, la fatica fisica si sono risolti come problemi. Detto questo però sostenere che la qualità della vita è eccezionale, ce ne corre. Soprattutto per chi ha modeste risorse economiche. In Usa chi non le ha è un povero e anche in Italia ci si sta avviando su quella strada».

Insomma lei dice cominciamo comunque a muoverci da subito al di là degli scenari possibili per il futuro?
«Mi sembra che il problema dei cambiamenti climatici sia una buona occasione per parlare di queste cose perchè l’impatto dell’uomo sul pianeta è eccessivo è l’organizzazione complessiva della civiltà che abbiamo messo in atto negli ultimi tre secoli va completamente rivista.
Bisogna cambiare strada, la situazione è complessa, ed è difficile indicare come. E non voglio entrare in un campo che non è il mio come ha fatto Gerelli. Ma sicuramente è necessario cambiare gli stili di vita che ci portano a atteggiamenti inutili o a sprecare inutilmente energie e risorse. E’ un assurdo ad esempio importare pomodori della Cina perché costano meno; hanno un prezzo minore dei nostri solo perché non ci vengono gravati sopra i problemi ambientali».

Bisogna mettere mano alla globalizzazione allora?
«Sì. Partendo dal fatto che i cambiamenti climatici sono il primo esempio degli effetti negativi sulla globalizzazione. E’ necessario rimettere in discussione il sistema di mercato, perchè il prezzo non può essere l’unico elemento che caratterizza una commodity. Ci sono altri elementi di cui tener conto, di cui uno è sicuramente l’ambiente».

Giusto. Ma tornando al clima, perché l’inverno non arriva?
«L’inverno non viene perché c’è una sostanziale modifica della circolazione generale cioè delle grandi masse d’aria.
Un tempo l’estate dipendeva dall’alta pressione sull’Atlantico e l’inverno dall’anticiclone della Siberia. Questi anticicloni che mettono in moto le grandi masse d’aria si sono spostati, per effetto dei cambiamenti climatici, su altre aree e arrivano con tempi diversi. Ad esempio questa estate l’anticiclone delle Azzorre è finito in Inghilterra, dove hanno avuto un estate come noi avevamo qualche anno fa e noi abbiamo sofferto per l’anticiclone della Libia, che ha portato temperature elevate e alta umidità. La stessa cosa vale per la Siberia. L’anticiclone si andava a formare verso la metà di novembre, mentre quest’anno si comincia a formare solo adesso, è ragionevole allora supporre che l’inverno arriverà verso gennaio».

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