[19/12/2006] Comunicati

Italia al top della qualità certificata?

ROMA. L’Italia è al secondo posto dopo la Cina e prima del Giappone per il numero di certificazioni Iso 9001 rilasciate nel 2005, nella classifica dei primi dieci paesi per siti certificati. Ed è al quarto posto, dopo la Spagna e prima del regno Unito per il numero di certificazioni 14001. Se bastassero i numeri e le graduatorie per descrivere un paese potremo dire che siamo ai primi posti nel mondo per la qualità delle imprese e per il rispetto dell’ambiente.
Ma come per le classifiche sulla qualità della vita in città, se fosse affiancato un sondaggio sulla effettiva soddisfazione percepita dai cittadini, sarebbe abbastanza prevedibile uno scivolone. E non ci fermeremmo tanto in avanti.

Ma cosa è successo al sistema Italia che da fanalino di coda sull’utilizzo dello strumento di certificazione per migliorare le prestazioni di aziende (sia sull’aspetto dei rapporti interni, che di quelli con i propri clienti offrendo prodotti più garantiti sotto l’aspetto qualità e tutela dell’ambiente), ha iniziato una ascesa così positiva?
La risposta la dà Fabio Roversi, direttore del Cisq, una delle associazioni che raggruppa i ben 119 organismi di certificazione accreditati operanti nel nostro Paese.

«Se noi abbiamo un primato - dichiara Roversi ad una intervista sul Sole24ore - lo dobbiamo al fatto che nel nostro Paese esiste una miriade di piccole e medie imprese. Se potessimo ragionare sul volume di affari, scopriremmo di non essere più secondi, magari neanche decimi». Quindi la volata alla classifica l’hanno tirata le piccole e medie imprese, che essendo la gran parte del settore produttivo del nostro paese fanno crescere presto i numeri, ma a questo non è detto che corrisponda nei fatti una crescita analoga della cultura della qualità nell’impresa, secondo il giudizio di Roversi.

Intanto le certificazioni crescono con un tasso di +15% rispetto all’anno scorso.
Ai primi posti troviamo Valle d’Aosta, Calabria e Basilicata per l’aumento percentuale, mentre la Lombardia rimane ancora prima per la predominanza di siti produttivi certificati.
Sono oltre 116.000 le certificazioni di sistemi di gestione in Italia, su circa 1 milione in tutto il mondo, di cui il grosso è per la qualità (107mila) e per le prestazioni ambientali (8.950); una piccola quota è invece suddivisa tra le certificazioni per la sicurezza (620) e per la sicurezza delle informazioni (140). A queste si aggiungono le oltre 100 mila categorie di prodotti certificati.
Insomma cifre considerevoli che corrispondono ad un altrettanto considerevole giro di affari di oltre 2 miliardi di euro.

Un settore che ha iniziato lentamente e che ha poi visto un boom soprattutto negli ultimi anni in particolare per le iso 9001 e iso 14001, anche grazie all’obbligatorietà della certificazione inserita in molte norme o al vantaggio che averla offriva in molti settori degli appalti di pubblici servizi, come nel caso della sanità.
Questo ha fatto registrare ad esempio impennate negli anni scorsi in regioni come la Campania, perché un decreto regionale imponeva la certificazione per le aziende che operavano nella sanità.

Ma come spesso accade dopo il boom, segue una fase di stasi ed è in parte quello che sta vivendo il settore della certificazione a partire dai dati che indicano soprattutto per la qualità (iso 9001) una saturazione. Un problema che emerge è anche quello della fidelizzazione delle aziende che hanno aderito allo schema ma che poi non proseguono su quella strada. Addirittura c’è una quota di almeno 10% di aziende che usa la certificazione per ottenere l’appalto o come strumento di marketing e poi una volta raggiunto l’obiettivo, la abbandona. Tradendo in pieno lo spirito stesso della certificazione, che invece dovrebbe innescare un processo che va verso il continuo miglioramento.

Ma l’analisi del settore tradisce problemi che non stanno solo nella stanchezza o nella scarsa lungimiranza da parte delle imprese, quanto anche una necessità di “certificare la qualità di chi certifica”. Ovvero di avere le garanzie da parte degli organismi che controllano e legittimano gli enti certificatori, della qualità degli operatori stessi.
«Dal 2001 si è puntato troppo a far volume - spiega Giovanni Olivieri, presidente dell’associazione italiana organismi indipendenti di certificazione e ispezione (Aioici) - e si comincia ad avere la percezione che la qualità della certificazione non sia più quella aspettata e desiderata sia dai consumatori sia dalle aziende».

Ma perdere la fiducia in un meccanismo come quello della certificazione, sarebbe un processo quanto mai rischioso e deleterio. Soprattutto in una fase come l’attuale in cui in particolare nel settore energetico, il ricorso alla certificazione sta diventando la chiave di volta per implementare processi importanti dal punto di vista ambientale.

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