[02/01/2007] Aria

Earth Policy: CO2 record nel 2005

LIVORNO. Per l’Earth Policy institute di Lester Brown il 2005 è stato l’anno record per le emissioni di anidride carbonica: quelle da combustibili fossili hanno raggiunto 7,9 miliardi di tonnellate, il 3% in più che nel 2004. L’energia elettrica è responsabile di circa il 40% delle emissioni attraverso l’utilizzo di petrolio, carbone e gas naturale, poi vengono i trasporti, con il 21% del totale, mentre abitazioni e edifici commerciali contribuiscono con circa il 14% e delle industrie con il 17% circa di emissioni che rimane proviene da molteplici fonti, tra le quali il traffico navale ed aereo.

Il 50% delle emissioni di carbonio sono prodotte da 4 paesi: gli Usa «che con meno del 5% della popolazione mondiale – si legge nel rapporto di l’Earth Policy - sono responsabili del 21% del totale, seguiti a ruota dalla Cina, con il 18% (i due paesi sono grandi utilizzatori di carbone, il combustibile fossile che produce più carbonio). In terza posizione viene la Russia, che con il 6% supera di poco il Giappone (5%). Gli altri paesi che contribuiscono in maniera rilevante all´inquinamento da carbonio sono India, Germania, Canada, Regno Unito, Corea del Sud, e Italia».

Ma per le emissioni pro capite sono i piccoli Stati a guidare la classifica: con 14 tonnellate di carbonio a testa è primo il Qatar, soprattutto a causa dell’industria nazionale del gas naturale e per l’elettricità gratuita, seguito dall’energivora isola Stato di Singapore e dagli Emirati arabi uniti, con 9 tonnellate. Ogni abitante di Stati Uniti, Australia e Canada emette 5 tonnellate di CO2, cinque volte più di un cinese e 17 volte più di un indiano.

«Nel 2005 – spiega Joseph A. Florence - la concentrazione atmosferica media di CO2 ha raggiunto le 380 parti per milione in volume, cioè 2,2 parti/milione in più rispetto al 2004 e 103 parti/milione in più rispetto all´epoca preindustriale. L´IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change), un organismo mondiale di cui fanno parte circa 2.000 scienziati, stima che l´attuale concentrazione di CO2 non era mai stata superata negli ultimi 420.000 anni, e probabilmente nemmeno negli ultimi 20 milioni di anni. Gli scienziati sono d´accordo sul fatto che è la crescente concentrazione nell´atmosfera di CO2 e di altri gas a effetto serra a provocare l´aumento della temperatura mondiale, cresciuta negli ultimi 30 anni di 0,6°. Le previsioni dell´Ipcc indicano che la tendenza al riscaldamento continuerà, e che entro il 2100 le temperature globali supereranno quelle attuali di 1,4-5,8°C». Secondo l´Oms, i cambiamenti climatici provocano la morte di 150 mila persone all’anno e muoiono e l’Earth Policy institute fa notare che «il livello dei mari è salito di circa 15 centimetri rispetto al secolo scorso, mentre nell´Atlantico e nel Pacifico settentrionale gli uragani sono diventati più devastanti. La combinazione di oceani che s´innalzano e di uragani più devastanti minaccia le centinaia di milioni di persone che vivono a livello del mare, ora più esposte a inondazioni e tempeste».

Ma gli esperti americani tracciano un quadro ancora più fosco: «gli effetti del riscaldamento globale saranno ancora più drammatici se le emissioni di carbonio spingeranno i livelli di CO2 oltre le 550 parti/milione, soglia al di sopra della quale inondazioni generalizzate, siccità e uragani diventeranno ancora più devastanti. Il punto di non ritorno sarà probabilmente raggiunto già nella seconda metà del secolo, se le emissioni di carbonio continueranno ad aumentare come previsto. Per evitarlo, bisognerà tagliarle di un buon 70%».

Una crescita di emissioni difficile da fermare nei prossimi 25 anni, visto che a trainarla saranno soprattutto i Paesi in via di sviluppo: «Se oggi i Paesi industrializzati pesano per il 55% del totale - spiegano all’ l’Earth Policy - le previsioni indicano che nel 2030 le economie in via di sviluppo o di transizione, con in testa Cina, Russia e India, peseranno per il 60%, una tendenza dovuta alla combinazione di rapida crescita economica e forte dipendenza dal carbone».

Tra i “buoni” l’Istituto americano segna la Germania, che negli ultimi 15 anni ha ridotto le sue emissioni del 10%, e la Gran Bretagna calata del 3%, risultati raggiunti diminuendo l’uso del carbone, aumentando le tasse sui combustibili fossili, imponendo efficienza e risparmio energetico e finanziando le diffusione delle energie alternative, ma anche l’Unione Europea che nel 2005, per rispettare il protocollo di Kyoto «ha lanciato un programma di scambio delle quote di emissioni, che limita le emissioni di carbonio e permette alle aziende che riescono a ridurle di trarne vantaggio, vendendo i loro permessi ad altre aziende».

E anche negli Stati Uniti del presidente-petroliere Bush si muove qualcosa: «Sette Stati nel nord-est – informa Earth Policy - hanno sottoscritto la Regional Greenhouse Gas Iniziative, che impone di ridurre entro il 2019 le emissioni del 10% rispetto ai livelli del 2009. La California, la nona più grande economia al mondo, ha recentemente annunciato che entro il 2020 riporterà le emissioni di carbonio ai livelli del 1990, con una politica che farà aumentare le entrate dello stato di 4 miliardi di dollari e creerà 83.000 nuovi posti di lavoro».

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