[05/01/2007] Trasporti

Produzione auto e sostenibilità, Campetti: «Serve pressione sociale e politica»

LIVORNO. Solo tre anni la Fiat stava attraversando la più grossa crisi della sua storia, con il rischio di lasciare al proprio destino migliaia di lavoratrici e lavoratori. Oggi il suo amministratore delegato Sergio Marchionne annuncia che sarà la prima della classe.

Ma quanto le scelte che hanno fatto riemergere dall’apnea la storica industria automobilistica del nostro paese, sono state indirizzate verso la ricerca del compromesso tra lavoro e sostenibilità?

Abbiamo posto questa domanda a Loris Campetti, giornalista de il manifesto.
«Intanto c’è un dato di partenza: l’Italia è il Paese europeo al primo posto per numero di auto rispetto al numero di abitanti (58 auto ogni 100 abitanti, ndr.). Una scelta ambientale per uscire dalla crisi, non poteva allora essere rivolta ad una minor produzione di auto, perché è evidente che la scelta sarebbe andata verso le auto di altre case automobilistiche, con un vantaggio ambientale pari a zero. Quindi è stato un importante merito quello di Marchionne di puntare sull’auto italiana per uscire dalla crisi. E non dar seguito al progetto della famiglia Agnelli di chiudere la produzione e rivolgersi verso la finanza».

Quanto la scelta di Marchionne ha tenuto in conto dell’innovazione tecnologica per la produzione di nuovi modelli?
«Infatti dobbiamo chiederci adesso a che punto siamo sugli investimenti seri dal punto di vista ambientale, per la produzione di motori meno impattanti e lo sviluppo della ricerca in settori alternativi nel sistema di alimentazione. Dall’ibrido, benzina-metano all’idrogeno. Su questo terreno non c’è stata una vera svolta. Negli anni della crisi le associazioni ambientaliste, in particolare Legambiente avevano avuto un confronto non scontato con la Fiom, che aveva evitato di riprodurre il conflitto storico e un po’ finto tra ambientalisti e lavoratori insistendo sulla qualità della produzione e della ricerca. Tra l’altro la posizione della Fiom di Torino è quella di fare di Torino il capoluogo della produzione dei motori ecocompatibili».

Però non sembrano esserci molte di quelle prospettive in questa ripresa della Fiat
«Dire che se non si sono fatti tanti passi avanti è tutta colpa della Fiat sarebbe sbagliato. Perché da un lato deve competere con le altre aziende europee e sottostare ai vincoli europei sui motori più puliti, ma dall’altro lato se non c’è una forte pressione sociale capace di intervenire sulla politica varrà sempre il principio che l’obiettivo di una azienda capitalistica è fare profitti e non aria pulita».

Ma allora quali sono gli elementi per avviare una azienda verso una innovazione di processi e di prodotti che puntino di più alla sostenibilità?
«Sono fondamentali due elementi per ottenere cambiamenti concreti: la pressione sociale e la politica. Faccio un esempio. Prendiamo le vetture bi-power che vanno a benzina e metano: da proprietario di una di queste auto, posso dire che fare il pieno è una impresa. Il tema è allora che i fondi pubblici a una impresa nazionale non devono passare attraverso regalie, quanto piuttosto verso lo sviluppo ad esempio di reti di metano per i rifornimenti delle auto che l’azienda produce. E al sostegno della ricerca per produrre con maggiore innovazione. E poi la domanda pubblica dovrebbe orientarsi a motori di questo tipo, più ecologicamente sostenibili. Tutto questo non lo vedo nella finanziaria. Gli interventi previsti, non vanno in questa direzione, quanto piuttosto verso la vecchia modalità di aiuti. Che seguitano a fare della Fiat una azienda a profitti privati e investimenti pubblici».

Si era paralato anche di ricerca verso i motori a Idrogeno
«Il ritardo sull’idrogeno non riguarda la Fiat né lo stato italiano ma le ricerche internazionali che sono stare rallentate a partire dalla California, che invece era partita con grande slancio. Ma essendo quel tipo di ricerca legata alla domanda pubblica è evidente che i petrolieri e i costruttori di auto hanno avuto maggior interesse a bere fino all’ultima goccia di petrolio. Prima quello iracheno e poi sarà quello iraniano. E l’idrogeno dovrà aspettare».

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