[08/01/2007] Urbanistica

Toscana felix, Cecchi (Alt): superare il manicheismo

LIVORNO. Sul dibattito sul futuro modello Toscana, innescato dall’intervento di Morisi cui hanno risposto D’Angelis e Nencini, abbiamo chiesto una riflessione a Renato Cecchi, dell’Associazione Ambiente e Lavoro Toscana.

Cecchi, secondo lei qual è il modello Toscana del futuro?
«Agli inizi degli anni 80 questa discussione fu abbastanza presente e si svolse prevalentemente tra la giunta di allora, la Cgil e il gruppo dirigente dell’epoca nel Pci. Erano già fortemente presenti, in quegli anni, la crisi del settore industriale e l’area dei distretti attraversava una delle fasi ricorrenti di dibattito tra produzione e ambiente, erano gli anni della Farmoplant tanto per fare un esempio. Si tentò allora di affrontare il problema ponendo il tema della scelta tra prendere la via del turismo o mantenere una delle caratteristiche di fondo del sistema toscano che è stata, sin dal rinascimento, una società in equilibrio tra attività interne e di esportazione. Una discussione che confluì nel grosso convegno dell’Ires-Cgil intitolato “ Toscana che cambia”».

E quale fu la sintesi di quel dibattito?
«Il dibattito non si risolse anche perché ci fu in quegli anni, eravamo alla seconda metà degli anni 80, la corsa matta all’arricchimento a forza. E quegli anni ci hanno consegnato un sistema Toscano con questioni del tutto irrisolte».

Ma secondo lei quale deve essere la strada?
«La domanda torna ad essere questa: lavoriamo per un attività interna o per l’esportazione? E cosa vuol dire oggi la seconda domanda? Vuol dire stringere contatti con la ricerca, con il mondo dei saperi, vuol dire avere conoscenza del mondo e delle sue caratteristiche sociali e culturali. Tutte cose che l’industria manifatturiera certo, oggi, non ha, e in particolare non sono in grado di averle i nostri distretti».

Una attività produttiva legata alla società della conoscenza richiede livelli di ricerca e delle integrazioni delle politiche che non solo non ha la Toscana ma non ce l’ha nemmeno il paese.

C’è chi ha scelto di sviluppare qua la testa e di cercare altrove le braccia
«Pensare ad una industria che sviluppa la testa da una parte e le braccia dall’altra diventa un industria acefala, perde quell’importante humus culturale che un tempo ha dato un fondamentale contributo anche per poter sviluppare la conoscenza di fondo. È una storia che dura poco anche perché cominceranno anche dalle altre parti del mondo a fare rivendicazioni salariali e quindi il vantaggio del basso costo della manodopera e dell’assenza delle garanzie e dei diritti sul lavoro verranno meno».

Quindi lei crede che sia necessario reimpostare anche politiche industriali per garantire un modello Toscano del futuro?
«Io credo che porre il problema tra la scelta di fare solo turismo e trasformare la Toscana in un giardino per il resto del mondo o fare altro sia quasi una farsa. Tra l’altro puntare solo sul turismo significherebbe non riuscire a dare lavoro a sufficienza rispetto all’attuale domanda di occupazione. E poi c’è da valutare quanto sarebbe sostenibile dal punto di vista ambientale una economia basata solo sul turismo. Sono leggende metropolitane. Porsi l’obiettivo di passare da una società insostenibile come l’attuale ad una sostenibile, non è possibile senza l’esportazione».

«Inoltre - prosegue - siamo in piena globalizzazione e dalla globalizzazione non si scappa, ci puoi stare però mantenendo alcune delle nostre caratteristiche fondamentali che devono necessariamente essere trasformate. La trasformazione da una regione insostenibile a una sostenibile è importante anche per ottenere una società civile, anzi è propedeutica alla sua esistenza. Il declino del settore produttivo implica anche un degrado del tessuto sociale. E con il declino che abbiamo avuto, ci sono adesso problemi di tenuta sul piano territoriale. Ma per impostare un nuovo modello toscano, bisogna uscire da un dialogo impostato su scelte che sono o tutte spostate dalla parte del turismo o tutte volte al rilancio industriale, altrimenti non si va da nessuna parte».

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