[09/02/2006] Acqua

Gestore dell´acqua, l´importante è il come, non il chi

LIVORNO. Intervengo rispetto ad un problema che comunque meriterebbe ben più ampia trattazione.
Il nodo della questione sta in due aspetti: il primo riguarda l´effettiva gestione della risorsa idrica. Qui, le opinioni a confronto hanno tutte una eguale dignità ed è bene che vi sia un dibattito come quello che, da qualche anno, ha preso piede. Il secondo - sempre sottaciuto - ha a che vedere con chi, effettivamente, gestisce l´acqua che, solitamente, beviamo.

Qui non ci sono equivoci: le grandi multinazionali private (Nestlé in primo luogo) gestiscono le acque cosiddette "minerali" (con concessioni pluridecennali delle relative sorgenti), che sono poi quelle che si trovano sulle tavole della larghissima maggioranza degli italiani. Con (anche questo è bene ricordarlo) l´obbligo di rispettare limiti di valori chimico-fisici estremamente più morbidi rispetto a quelli che hanno le società che gestiscono il servizio idrico integrato nelle varie Ato.

Questa è la prima ambiguità: l´acqua (almeno quella che solitamente beviamo) è già ampiamente privatizzata da anni, e quasi nessuno dice niente.

Rispetto al primo aspetto, è ormai chiaro che, sull´acqua - come su altri servizi pubblici, essenziali o meno - si scontrano due posizioni (fermo restando che quella totalmente a favore della liberalizzazione non mi vede d´accordo): un criterio "oggettivo" di servizio pubblico, ed uno "soggettivo". Al primo corrisponde tutta l´architettura istituzionale pensata in Italia (ed in larga parte dell´Europa) durante gli anni Novanta.

L´obiettivo primario è tutelare il cittadino, ossia la qualità del servizio secondo i criteri enucleati, in primis, dalla Carta dei Servizi del 1994, secondo principi di eguaglianza, imparzialità, continuatività, partecipazione, diritto al risarcimento, ecc.. Non è quindi importante sapere chi gestisce un servizio, ma come lo fa. La seconda concezione è - a mio avviso - legata a schemi anche di carattere istituzionale appartenenti al passato, ossia che vi è garanzia per il cittadino soltanto se il servizio è gestito direttamente dal pubblico.

Ora, un simile modello non ha funzionato in molte realtà: in Italia, nel Sud, lo scellerato, implicito patto durato per più di un quarantennio vedeva i cittadini non pagare o sottopagare il servizio, ed il pubblico non fare o fare pochissimi investimenti, disinteressandosi assolutamente dell´efficacia del servizio stesso.
I modelli, quindi, di per sé, non assicurano la soddisfazione del cliente (o utente) finale.

Per questo credo che non sia uno scandalo se il servizio idrico veda la compartecipazione del privato, sia per garantire una cospicua mole di investimenti, sia, soprattutto (almeno nel caso di Livorno) per entrare a pieno titolo in filiere di alleanze interessanti e strategiche per più territori. Avere Amga in casa ha significato, ad esempio sull´energia, entrare in uno dei raggruppamenti principali (Amga-Aem Torino) del paese, portando anche in dotazione (quando Matteoli firmerà il decreto definitivo) la prima piattaforma di rigassificazione off-shore dell´Italia. Insomma, cogestire col privato significa, spesso, superare il nanismo ed il provincialismo e crescere.

Naturalmente occorre saper scegliere: a Livorno l´alleanza con Amga sta funzionando molto bene, non senza problemi ma sicuramente con grandi prospettive e con un ottimo lavoro fatto negli ultimi due anni.

Pertanto, al di là di formule a mio avviso eccessivamente ideologiche, occorrerebbe ridurre lo strabismo di cui ho ricordato sopra i tratti essenziali, e procedere per aggregazioni: l´incontro col privato, a mio avviso, può dare soprattutto questa dimensione, fermo restando che, in Italial, i principali privati sono Acea, Amga, Enel, ecc.

* Luca Bussotti è presidente del Consiglio di sorveglianza di Asa

Torna all'archivio