[10/01/2007] Aria

Le città asiatiche sono le più inquinate del mondo. Ma gli esempi positivi ci sono

LIVORNO. Nella recente Conferenza 2006 per la miglior qualità dell’aria di Yogyakarta, in Indonesia, è venuta fuori una sorta di classifica delle città più irrespirabili del mondo e che è stata resa nota dall’agenzia missionaria AsiaNews: le megalopoli asiatiche avrebbero tassi di inquinamento 5 volte più alti di Parigi o New York ed anche 6 volte superiori al livello massimo suggerito dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms). Notizie rese ulteriormente preoccupanti da uno studio curato dalla Asian development bank (Adb) che prevede che le emissioni di gas serra in Asia triplicheranno in 25 anni.

Nella classifica delle polveri sottili e del rischio cancro la prima è Pechino con 142 microgrammi metro cubo d’aria, New York ne ha 27, Parigi 22, Londra 24. Una concentrazione di inquinanti, una cappa che avvolge la capitale cinese che rischia di far perdere a Pechino i prossimi giochi olimpici che stanno trasformando a ritmo folle il volto della metropoli ma che secondo il Comitato olimpico internazionale potrebbero anche saltare se Pechino «non fa qualcosa per migliorare la qualità della sua aria».

Ma è l’intero sviluppo col turbo innestato da India e Cina, con poco rispetto per l’ambiente e la salute dei cittadini, a rendere più inquinate tutte le città asiatiche rispetto a quelle occidentali. «L’inquinamento – secondo AsiaNews - dipende tra il 30 e il 70 % per l’aumento del traffico automobilistico, destinato a crescere», visto che il 99% dei cinesi non hanno ancora un’automobile, ma che il modello di riferimento sembra di essere quello Usa dove la possiedono 77 persone su 100 o quello italiano con 58 auto ogni 100 abitanti.

Le cifre che gli esperti mettono sul tavolo sono preoccupanti: secondo l’Adb le auto in Asia raddoppieranno ogni 5 anni, in Cina entro il 2030 aumenteranno di 15 volte raggiungendo i 190 milioni di veicoli, le emissioni di diossido di carbonio saliranno di 3-4 volte in Cina e di 5-8 volte in India, una escalation che secondo l’Oms potrebbe provocare in Asia 537mila morti all’anno per l’inquinamento dell’aria.

L’inquinamento non si ferma certo alle frontiere: le emissioni delle aree speciali di sviluppo cinesi arrivano fino alla già inquinata Hong Kong innalzando ulteriormente del 60% il livello di polveri sottili e la fuliggine delle centrali a carbone traversa il mare e raggiunge boschi e laghi giapponesi, mentre il poverissimo Bangladesh è sottoposto all’inquinamento incrociato di Cina ed India. L’esempio più noto è quello del fumo degli incendi dei boschi del Borneo indonesiano appiccati per “liberare” aree da coltivare a palma da olio e che hanno soffocato per settimane Malaysia e Singapore.

Eppure le città del continente più grande avrebbero da seguire un esempio: quello della immensa area urbana di Tokyo che con 35 milioni di abitanti ha livelli di inquinamento più bassi delle città occidentali, o della capitale Tailandese Bangkok dove in 10 anni l’inquinamento atmosferico, sempre elevato, è diminuito del 50% grazie a controlli sugli scarichi delle auto e tasse sui motocicli più inquinanti. Un’altra tigre asiatica che ha fatto da guida allo sviluppo del continente, la città-stato di Singapore, con 4 milioni e mezzo di abitanti (quindi “piccola” per la scala asiatica) ha livelli di inquinamento pari alle città degli Usa, grazie a tasse sulle auto, trasporti pubblici abbondanti ed efficienti, chiusure e limitazioni del traffico nelle zone commerciali.

Intanto AsiaNews dà notizia della nascita delle prime proteste anche in Sri Lanka dove il 29 dicembre, con una marcia pacifica a Puttalam, le comunità buddista, cattolica e musulmana si sono unite contro la costruzione di una centrale elettrica a carbone da 300 MW a Norochcholai, che sarebbe la prima del paese e che dovrebbe essere realizzata da una joint venture tra i governo cingalese ed una compagnia cinese, ma mentre la gente protestava guidata dai capi religiosi il governo di Colombo firmava un accordo con l’India per un’altra centrale a carbone da 500 MW a Sampur, vicino a Trincomalee, nell’est di Sri Lanka sconvolto da anni dal sanguinoso conflitto tra gli indipendentisti delle Tigri Tamil e il governo centrale.

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