[11/01/2007] Energia

Nuke o non nuke?

LIVORNO. La Commissione europea nel suo pacchetto energia invita a tenere il nucleare dentro il mix di fonti energetiche del futuro, pur lasciando la decisione alla sovranità di ogni stato membro secondo il principio della sussidiarietà. E in Germania, ma anche in Gran Bretagna e in Svezia, ovvero i tre paesi che avevano programmato o comunque annunciato la chiusura delle centrali esistenti, si è riaperto un dibattito sull´opportunità di mantenere aperta l´opzione atomica.

Greenreport.it è intervenuta più volte sottolinenando il fatto che al momento non sono ancora risolti o superati tutti i problemi che attengono alla sicurezza e in particolare al trasporto e alla custodia delle scorie radioattive. E segnalando anche altri due problemi di cui poco spesso si parla: ovvero i costi e i tempi dei costruzione e se questi due aspetti siano compatibili con la realtà e le esigenze attuali.

Interessante allora l’articolo che ha scritto oggi Maurizio Ricci su Repubblica, in cui proprio questi aspetti vengono analizzati. E per farlo prende a metro il nuovo reattore nucleare attualmente in costruzione in Finlandia.

Sui tempi. Qualora il nostro Paese decidesse di realizzare una centrale atomica in un punto imprecisato del nostro territorio, quanto ci vorrebbe perché dalla decisione si arrivasse alla produzione di energia elettrica? Facendo i conti sulla Finlandia (paese assai più efficiente e più rapido del nostro in tema di autorizzazioni e della realizzazione dei fatti conseguenti), là se ne è cominciato a parlare nel 1997. La costruzione vera e propria è cominciata nel 2005 e se i tempi previsti saranno rispettati entrerà in funzione nel 2010. Quindi 13 anni, che realisticamente potranno essere qualcuno di più perché i ritardi già ci sono. Quindi se a Caserta decidessero oggi la scelta del nucleare, potremmo avere una centrale pronta non prima del 2020; la stessa data fissata per tagliare il tetto delle emissioni di Co2, dall’Unione europea, ma comunque già in ritardo per frenare la situazione già empiricamente tangibile, dei cambiamenti climatici in corsa.

C’è poi un problema di rigidità della scelta, che Ricci richiama correttamente. Partendo infatti dal dato tecnico che per funzionare correttamente un reattore deve marciare all´85% della capacità per i suoi 60 anni di vita, e che non si può spegnere a piacimento, questo significa che, anche in caso di fluttuazioni della domanda, la centrale atomica dovrà continuare a produrre. Magari a scapito delle altre fonti. Infine la rigidità riguarda anche i costi. Nel bilancio complessivo di una centrale atomica, il combustibile pesa solo per il 5%, rispetto al 25 % in una a gas e il 50% in una carbone. Ma il resto, ovvero il 95 % del bilancio riguarda i costi di costruzione, che per poterli ammortizzare, si deve garantire che il prezzo dell´energia prodotta resti competitivo per i 15-20 anni necessari a rimborsare il debito.

Tornando alla ipotetica centrale in Italia, se questa fosse in funzione a partire dal 2020, dovrebbe garantire la competitività del kwora nucleare rispetto a tutti gli altri (con qualsiasi energia vengano prodotti) fino almeno al 2040. In una situazione di concorrenza con altre fonti, come ci auguriamo che presto sia in tutti i paesi europei, otre al nostro, la centrale andrebbe in rosso. E chi dovrebbe intervenire allora, sempre ammesso che i fondi per costruirla ce li abbiano messi i privati? Al solito, Pantalone! Ma questa non è previsione pessimistica del futuro: è quanto è già avvenuto- ci ricorda Ricci- nella storia recente. Quando cioè nel 2002, con i prezzi di gas e petrolio a minimi storici, il governo inglese dovette intervenire pesantemente per salvare la British Energy ( holding delle centrali atomiche) dalla bancarotta.

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