[12/01/2007] Consumo

La crescita cinese tra conflitti ambientali e disparità sociali ed economiche

LIVORNO. La Cina è ufficialmente una deIle ultime repubbliche popolari del mondo, ma il travolgente tasso di crescita economica a due cifre sta producendo sempre di più disastri e conflitti ambientali, disparità sociali, distanze siderali tra i ricchi ed i poveri che più che un paese "comunista" ricordano il Sudamerica delle dittature militari o la situazione di alcuni stati dell´ex impero sovietico.

All´inizio dell´anno è stata accolta per la prima volta la protesta di un gruppo di agricoltori-piscicoltori locali: la Corte distrettuale Shangchen di Hangzhou ha ordinato indagini sui mancati controlli che tra il 2003 e il 2004 hanno portato all´inquinamento di più di 367 ettari di bacini destinati all´allevamento di pesci e che erano stati così contaminati dagli scarichi delle 2mila fabbriche della zona da renderne necessaria, nel 2006, la distruzione, con perdite per oltre 170 milioni di yuan a carico dei contadini. Solo allora l´amministrazione centrale per la protezione ambientale dello Stato (Sepa) chiese accertamenti agli organi locali.

Secondo l´agenzia missionaria AsiaNews «in Cina sono inquinati il 90% di fiumi e laghi; 320 milioni di contadini (il 34% della popolazione rurale) non ha accesso a fonti di acqua potabile, oltre 190 milioni bevono acqua inquinata oltre i limiti consentiti. La protesta per l´inquinamento è tra le principali cause delle oltre 87mila proteste pubbliche avvenute nel 2005, molte sfociate in scontri di piazza con la polizia. Spesso simili proteste nascono dopo che petizioni ai poteri ufficiali (polizia, governo, giudici) non hanno dato risultati».

Si stima che oltre 40 milioni di contadini siano stati espulsi dalla loro terra per costruirci fabbriche e quartieri residenziali, spesso senza ricevere indennizzi adeguati, ed i più anziani rimangono senza terra, senza lavoro e senza assistenza sociale.

Ma la consapevolezza ambientale e sociale dei contadini sta aumentando e gli abusi compiuti dai governanti locali a vantaggio di imprese industriali e delle città vengono sempre più spesso fronteggiati da poveri sempre più agguerriti. Anche perché si è sempre più consapevoli che lo sviluppo senza freni perseguito dal gigante asiatico ha portato ad una situazione paradossale per un paese che venera Mao Tze Tug come una specie di santo protettore: il 10% più ricco possiede il 45% dei beni privati, il 10% più povero meno del 2%.

Secondo i dati forniti dallo stesso governo cinese, nel 2005 un pechinese aveva un reddito annuo equivalente a 2.263 dollari Usa, un abitante di Qinghai 1.033 dollari, ma il reddito annuo di un contadino di quella remota provincia solo di 277 dollari, un quarto di quello medio della provincia e quasi 10 volte di meno di quello degli abitanti della capitale. Tra le cause dell´impoverimento dei ceti "bassi" urbani e rurali c´è anche l´altissimo costo della sanità, pari all´11,8% dei consumi totali cinesi e che spinge i contadini e i cittadini meno abbienti sotto la soglia di povertà.

«Secondo il metodo Gini – si legge su AsiaNews- un modello di misura per la distribuzione dei redditi nel quale lo 0 indica una perfetta equità e l´1 la massima disuguaglianza, la Cina ha, secondo il rapporto, un coefficiente di 0,496 per il 2005, rispetto a 0,33 in India, 0,41 negli Stati Uniti e 0,54 in Brasile. I sociologi vedono nell´incremento della misura Gini un segno dell´ instabilità della società, causa potenziale di rivolte».

E la Cina vive così il paradosso di un regime teoricamente socialista dove la lotta di classe dei contadini impoveriti ritorna in forme disperate e spesso di ribellione violenta ferocemente repressa dalla polizia al servizio di interessi privati, governanti locali corrotti e imprenditori spesso parenti dei "mandarini" del partito comunista. Come se la "lunga marcia" maoista non ci fosse mai stata.

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