[01/02/2007] Comunicati

Facciamo economia?

LIVORNO. Domani l’Ipcc renderà pubblico a Parigi il dossier sui rischi dei mutamenti climatici, redatto da oltre 2500 scienziati in tutto il mondo. Rischi ben noti almeno dalla seconda metà di gennaio, quando i dati hanno cominciato a riempire le pagine di tutti i giornali, evidenziando talvolta quel tale spicchio di terra che finirà sott’acqua nel giro di qualche anno, in altri casi la terribile siccità che spopolerà zone ora rigogliose. E via dicendo, fino agli scienziati Usa che accusano Bush di aver loro tappato la bocca quando gridavano ai rischi dell’effetto serra e alle multinazionali che decidono autonomamente di impegnarsi a favore dell’ambiente sfiduciando Bush e il suo no al protocollo di Kyoto.

Tutto bene quindi? Il mondo sta forse cambiando e si assiste a una nuova consapevolezza, seppur un po’ troppo “inquinata” – scusate il facile gioco di parole - dalla tentazione al catastrofismo e al sensazionalismo?

Tranquilli, non cambia affatto, perché oggi gli stessi quotidiani economici che gridano l’allarme contro l’effetto serra nella pagina pari, in quella dispari strillano a tutta pagina le grida di giubilo per l’economia Usa che ha spiazzato tutti crescendo più del previsto: + 3,5 del pil a stelle e strisce nell’ultimo trimestre 2006 battendo le previsioni di mezzo punto percentuale. Poco importa se a fronte dell’aumento dei consumi delle famiglie (+4,4%) corrisponde un calo del risparmio delle famiglie, perché tanto ci pensano le carte di credito a dar man forte alle tasche vuote. E poco importa se se la distribuzione del reddito appare sempre più svantaggiosa per i lavoratori.

Nessuno pensa a mettere a fianco i due temi. Da una parte ci sono quelle che per il momento restano dichiarazioni: l’allarme che arriva da più parti (anche da economisti) per i cambiamenti climatici indotti anche e soprattutto dall’uomo, che comportano la necessità di un risparmio in senso generale del pianeta. E dall’altra parte quelli che oggi sono i fatti: l´esasperata ricerca della crescita purchessia (che significa produrre e consumare risorse finché il pianeta finito lo permetterà), e che si sostanzia nel +5,3% della crescita mondiale del 2006, con il contributo di Cina (1,6%), Stati Uniti (0,7%), India (0,5%), Europa (0,4%), Giappone (0,2%).

A proposito di Cina, più dei costi economici che sono stati calcolati come necessari per salvare il pianeta, le multinazionali occidentali appaiono preoccupate dalle reiterate visite cinesi nel continente africano: la Cina viene accusata di avere instaurato con i più arretrati Paesi africani un rapporto di “colonialismo economico”, nel quale porta via le materie prime e inonda le economie africane con gli economici prodotti cinesi stroncando le nascenti industrie locali, come ha detto a dicembre il presidente sudafricano Thabo Mbeki.

Ed è così che grandi società minerarie occidentali che finora hanno sfruttato le risorse africane hanno messo a punto a Davos, a margine dell’ultimo World economic forum , la strategia per bloccare la strada alle aziende pubbliche cinesi che stanno investendo in Africa, soprattutto in opere infrastrutturali, al fine di garantirsi lo sfruttamento delle risorse. La strategia di big minerari come Severstal, Rio Tinto, Anglo American e De Beers pare essere quella di appellarsi all’Onu per costringere Pechino a rispettare standard ambientali più stringenti. Esattamente quello che tentarono di fare anni fa alcuni stati africani per frenare l’invasione delle stesse società che oggi temono di venir sostituite dai cinesi.

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