[01/02/2007] Energia

Cernobyl: a vent´anni dall´incidente, poco è cambiato

dal nostro inviato Lucia Venturi
BRUXELLES. E’ in pieno svolgimento a Buxelles la settimana per l’energia sostenibile dell’Unione europea, dove tra l’altro è previsto oggi l’evento clou organizzato dall’Italia sulla campagna per l’energia sostenibile, cui è prevista la partecipazione del Ministro per l’ambiente Alfonso Pecoraro Scanio. In questo contesto Legambiente ha colto l’occasione per organizzare una conferenza stampa assieme al gruppo dei Verdi al Parlamento europeo, che ha visto anche la partecipazione dell’eurodeputata Monica Frassoni. Il motivo della conferenza è stato la presentazione di un dossier in cui gli ambientalisti italiani hanno presentato i risultati di un monitoraggio ambientale condotto nella regione di Gomel in Bielorussia; il paese maggiormente colpito dal fallout avvenuto per l’incidente alla centrale nucleare di Cernobyl, del 1986.

Nel dossier sono illustrati anche i risultati di uno studio condotto sulla popolazione bielorussa che ha coinvolto oltre 14.500 soggetti in tre anni. Le diagnosi sanitarie delle persone visitate, i dati sulla contaminazione del terreno, delle derrate alimentari nonché dei campioni di flora e fauna prelevati ed analizzati- secondo quanto dichiara Legambiente- non lasciano purtroppo margini di dubbio sulla drammatica situazione ancora esistente nelle zone contaminate e confermano la necessità di continuare a tenere alta l’attenzione sulle conseguenze subite dalla popolazione e sulle misure da poter mettere in campo per limitare possibilmente i danni attuali e futuri.

«Si è appena chiuso l’anno che ha celebrato vent’anni dall’incidente di Cernobyl, ma ben poco è cambiato da allora. Le conseguenze del fall-out nucleare che ebbe origine per l’esplosione del 4° reattore della centrale ucraina, sono state particolarmente pesanti per la popolazione e per il territorio bielorusso, dove maggiore è stata la concentrazione della radioattività che vi si è riversata, investendo al contrario il 5% dell’Ucraina e solo marginalmente la Russia (lo 0,6%). La stima riguardo alle sostanze radioattive disperse nell’ambiente al momento della deflagrazione e del successivo incendio è di oltre la metà dello iodio e del cesio presenti nel nocciolo, più altri radionuclidi e gas radioattivi pari a una attività di 11 EBq, ovvero un miliardo di miliardi di Bequerel. Purtroppo la situazione a 20 anni di distanza rimane pressoché immutata». Si legge nel dossier di Legambiente.

Circa 7 milioni di persone risultano ancora esposte al rischio contaminazione da isotopi a lungo decadimento; gli effetti ambientali rimangono pressoché immutati da allora, in termini di estensione del territorio interessato, mentre riguardo alle caratteristiche degli elementi presenti, cominciano ad emergere delle criticità specifiche, che richiedono maggiori gradi di approfondimento. Il fatto che nelle analisi ambientali condotte dall’Arpa Emilia Romagna, partner di Legambiente in questo progetto di monitoraggio assieme all’Istituto di radioprotezione di Minsk, tra gli altri elementi radioattivi sia stato trovato anche l’americio, un radioisotopo della famiglia del plutonio, lascia infatti intendere - secondo quanto dichiarato dagli ambientalisti - che siano presenti frammenti di combustibile nucleare, fuoriusciti dal nocciolo del reattore al momento dell’esplosione. E data la particolarità delle emissioni di questo elemento, che oltre a radiazioni gamma emette anche radiazioni alfa, richiede un ulteriore elemento di attenzione nei confronti della popolazione. Le particelle alfa possono infatti determinare effetti diretti sull’organismo per ingestione o se respirati.

Analogamente per quanto riguarda gli effetti riscontrati sulle conseguenze sanitarie, secondo Legambiente si pongono quesiti e scenari anche assai mutati da quelli in origine. Durante lo screening sulla popolazione condotto nei tre anni di attività nell’area di Lunets, sempre in Bielorussia, attraverso l’ausilio di un ambulatorio mobile supportato per fare ecografie alla tiroide e prelievi per l’analisi del tessuto specifico, cominciano ad emergere situazioni diverse rispetto al passato. Le patologie riscontrate sono infatti non più quelle tumorali (in special modo alla tiroide) e colpiscono anche fasce di età superiori a quella infantile. Pertanto secondo Legambiente e i medici della loro equipe di studio, pongono l’urgenza di cominciare a valutare gli effetti non solo e non più sulla popolazione direttamente o indirettamente colpita dal fall-out di vent’anni fa, ma anche sulle generazioni che da quelle cominciano a discendere.

Ma oltre alla presenza di elementi direttamente legati al combustibile irraggiato del reattore di Cernobyl e alle patologie registrate sulla popolazione l’indagine di Legambiente si è concentrata anche sugli alimenti che rappresentano il cibo quotidiano delle popolazioni bielorusse. Anche in questo caso le notizie non sono certo incoraggianti: la gran parte dei prodotti analizzati- in particolare quelli provenienti da circuiti non ufficiali della distribuzione ma che rappresentano la principale fonte di cibo per gran parte di loro- hanno fatto registrare valori di radioattività non certo consoni con l’alimentazione.

Insomma una situazione assai critica, non certo ben conosciuta a livello internazionale, quella sulla situazione degli effetti che l’incidente di Cernobyl ha prodotto. E che dovrebbe indurre a maggior riflessione proprio adesso che per far fronte al problema dei cambiamenti climatici, si torna sempre più spesso e a più livelli a parlare di energia nucleare per l’indiscusso vantaggio di non produrre emissione di anidride carbonica. Ma che purtroppo rimane l’unico vantaggio di questo tipo di approvvigionamento energetico.


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