[13/02/2006] Rifiuti

Legge delega, il parere delle imprese

LIVORNO. Parlano le imprese sul nuovo testo unico ambientale approvato nei giorni scorsi dal governo. Il primo parere è quello di Renato Butta, direttore di Sintesis, società di consulenza ambientale della galassia Cna. «Credo che nessuno possa contestare la necessità di riordino della complessa normativa ambientale – dice – soprattutto in relazione al superamento normativo e tecnico di alcune discipline, e all’armonizzazione con le direttive comunitarie. E’ sul “come” sia stato fatto seguito a questa esigenza che si nutrono da parte del mondo imprenditoriale serie perplessità in relazione alla capacità nel sistema delle istituzioni di esercitare una funzione positiva in termini di certezze dei tempi e chiarezza dei procedimenti». «In altre parole – conclude Butta – l’attenzione posta dal Testo Unico alla semplificazione amministrativa e alla partecipazione degli stakeholders non pare all’altezza delle aspettative, in quanto non ha fatto tesoro delle difficoltà di rapporti che si sono evidenziati negli anni passati e che sono stati causa di tante incomprensioni e fallimenti».
Paolo Pipeschi, responsabile ambiente Confindustria Livorno, ricorda che «il parere di Confindustria nazionale è che la legge delega non è fatta benissimo, ma non è nemmeno questa catastrofe che qualcuno dipinge». «Abbiamo il timore – sostiene Pipeschi – che possano esserci da parte della Commissione europea procedimenti di infrazione per alcuni aspetti del codice unico, soprattutto per quanto riguarda il danno ambientale».
Infine Jacopo Tinti, della società Ambiente di Massa: «E’ uno stravolgimento abbastanza epocale. La prima perplessità è sull’applicazione dei decreti: per il decreto Ronchi ci sono voluti tre anni, cosa ci vorrà per una legge che stravolge la precedente legislazione fino ai minimi livelli? Bisognerà capire cosa vorrà fare il nuovo governo e come intende tamponare le falle aperte da Matteoli».
«Sulle bonifiche poi – dice tinti – è un manicomio. Ronchi aveva introdotto il concetto di inquinamento di terreno e falde: chi inquinava pagava ed era responsabile dell’inquinamento se non bonificava: dal ‘99, con il decreto 471, c’erano le tabelle dei valori di concentrazione degli inquinanti, si capiva cosa era inquinato e cosa no e si sono attivate le bonifiche di tutto ciò che
superava quei limiti. Adesso è cambiato l’approccio. Vengono messi in secondo piano i valori limite e si introduce un nuovo concetto: l’analisi di rischio, con due soglie. Se si superano le tabelle non è detto che il sito sia inquinato, se con l´analisi di rischio si dimostra che il superamento della
soglia non produce danni all’ambiente o alla salute non si fa la bonifica. Saranno gli inquinatori a dover dimostrare che l’inquinamento non fa male».
«L’organo di controllo – prosegue Tinti – ha la possibilità di valutare, poi c’è l’autocertificazione, che sarebbe un ottimo strumento, che però con la Delega si traduce in questo: io inquinatore faccio un’analisi della mia area e la certifico pulita, gli organi di controllo hanno 15 giorni per verificare se è vero. Così si rimette all´ente pubblico un onere che attualmente le Arpat non sono in grado di reggere. Purtroppo l’intero sistema nazionale di controllo non è preparato a questo. Si avrà un grande impasse delle bonifiche ed un aumento della conflittualità, nessuno saprà come valutare correttamente le analisi di rischio della grande industria".
Tinti chiude con una curiosità: «Così come Ronchi non previde i limiti per l’inquinamento dei terreni agricoli, anche la delega Matteoli non lo fa. Quindi l’obbligo di bonifica vale, ad esempio, per un terreno dove devo costruire una casa. Ma teoricamente quello stesso terreno posso coltivarlo per produrre roba da mangiare».

Torna all'archivio