[12/02/2007] Comunicati

Pietro Greco: «Tra ambientalismo e scienza un’alleanza naturale»

LIVORNO. Il fatto che oggi venga siglato un accordo tra una grande associazione ambientalista (Wwf) e una società di chimici (Società chimica italiana) può essere considerato una risposta concreta a chi da tempo accusa l’ambientalismo di essere oscurantista e nemico della scienza?
Abbiamo rivolto questa e altre domande a Pietro Greco, giornalista e scrittore, e redattore scientifico dell´Unità.

«Sì è una risposta concreta in questo senso perché coinvolge la società scientifica più antica d’Italia e che organizza gli scienziati che hanno storicamente la peggior immagine ambientale. Dimostra due cose: da un parte che gli scienziati chimici si differenziano rispetto all’industria chimica, e forse in passato la chimica ha pagato un prezzo altissimo per non averlo fatto, cioè per aver tenuto differenziati scienza e industria.
Dall’altra c’è il riconoscimento che l’ambiente non è un elemento di regresso ma è un vero e proprio progresso. I primi a porre le questioni ambientali sono stati proprio grandi scienziati che avanzavano il concetto del limite di uno sviluppo dissipatore. C’è stato poi un momento di frattura recente necessariamente destinato a sanarsi. Non si può salvaguardare un pianeta senza conoscerne i meccanismi di funzionamento e banalmente non posso conoscere un certo ambiente se non cerco di preservarlo. E quindi quella tra l’ambientalismo e la scienza è un’alleanza naturale. Questo reciproco riconoscimento trova un avvallo in questo accordo».

Comincia a decadere secondo lei quest’immagine dell’ambientalismo che si vuole arroccato su posizioni difensive e conservatrici?
«Questa è un´immagine che hanno in molti e purtroppo anche molti scienziati. Ma è sbagliata perché non ci può essere progresso in un ambiente degradato e su un pianeta che non ha più la “capacità di sopportare” nel senso stretto del termine. Questo non significa che anche nei movimenti ambientalisti non vi siano state frange conservatrici, ma sono comunque da considerarsi minoritarie e non inficiano il ruolo che hanno avuto le associazioni ambientaliste nel far diventare cultura di massa la difesa dell’ambiente stesso».

Al di là di chi ancora vuole presentare gli ambientalisti come cassandre e grilli parlanti, alla fine i fatti hanno dato ragione ad un ambientalismo che vedeva in questo settore una via di svolta anche per rilanciare un nuovo sviluppo?
«I cambiamenti climatici sono l’esempio più importante, eclatante e limpido del rapporto sinergico tra ambientalismo e conoscenza scientifica. Sino a qualche decennio fa noi conoscevamo poco della terra perché era poco studiata e le prime intuizione rispetto ai cambiamenti del clima e agli effetti che ne sarebbero derivati, sono venute proprio dal momdo della scienza. Che hanno mobilitato gli ambientalisti e hanno consentito di accelerare in maniera imponente gli studi sul pianeta. Un formidabile sviluppo che è avvenuto in un rapporto di assoluta coevoluzione e che ha rafforzato la cultura ambientalista sul fatto che occorresse mettere i problemi del clima in cima all’agenda politica del pianeta. E che ha prodotto le varie tappe che a partire da Rio de Janeiro, sono passate da Kyoto e agli attuali negoziati per andare oltre.
Forse l’economia è venuta a conoscenza dei cambiamenti climatici e ha imparato a inseguirli proprio quando i cambiamenti estremi e le loro pesanti conseguenze hanno costretto molte assicurazioni degli Usa, ma non solo, a pagare prezzi sempre più alti ai loro assicurati.
Oggi in Cina, proprio in questi giorni, gli scienziati e gli economisti sono riusciti ad avere una interlocuzione importante e per la prima volta si sono uniti alle autorità politiche per individuare il futuro della Cina e verificare l’impatto sulla economia. Ciò ha messo in evidenza come i cambiamenti climatici stanno già rallentando la crescita esponenziale del pil cinese e rischiano di farlo ancor di più in futuro. In realtà molti sistemi industriali in giro per il mondo si stanno riorganizzando per un futuro non lontano in cui si passerà da un sistema energetico fondato sui combustibili fossili a un sistema fondato su fonti che non producono gas serra.»

Alcuni sostengono che l’attuale sistema economico non se lo possa permettere.
«Si tratterà ovviamente non di ribaltare il sistema economico ma di rivoluzionare il sistema energetico con tutte le implicazioni economiche del caso. In prima battuta si può dire che questo cambiamento del sistema energetico non è affatto un ostacolo alla crescita economica. Anzi ne è la precondizione perché possa esserci. Tuttavia in una visione un po’ più profonda che ci rimanda alle intuizioni del club di Roma e poi del rapporto Brundtland è chiaro che ci sono dei limiti fisici e chimici allo sviluppo e che se vogliamo avere uno sviluppo più stabile e più profondo dobbiamo realizzare un modello economico fondato sulla produzione di beni che consumano poca materia e poca energia e che favoriscano lo sviluppo umano piuttosto che la ricchezza dei singoli individui».

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