[15/02/2007] Comunicati

Nuove, moderne ideologie

LIVORNO. Innovazione, modernità, crescita, sono le parole che più si leggono sui giornali e che più sono invocate a vari livelli: la politica guarda alla crescita come il faro per lo sviluppo, l’industria come il motore del rilancio e gli economisti come l’indicatore di benessere.
Non a caso il dato dell’ultimo trimestre 2006, che registra il pil al 2%, e che viene analizzato verosimilmente come dato stabile in relazione all’andamento del resto d’Europa, viene accolto con grande enfasi e soddisfazione.

La contemporaneità dell’andamento in rialzo in tutta Europa, fa anche ritenere che la ragione risieda in una ripresa dei consumi, pertanto la “paura” tanto agitata qualche mese fa della contrazione delle spese da parte soprattutto delle classi medio-alte sembra sfatata. Il monito però è di non cullarsi troppo sugli allori: perché per la stabilizzazione servono le riforme e le liberalizzazioni, dice Confindutria. Ed ecco anche le altre due parole magiche dei tormentoni di questi ultimi mesi. Liberalizzazioni e riforme.

«Tra le liberalizzazioni e le riforme necessarie alla ripresa di una crescita dell’Italia - scrive dalle pagine del sole24ore Sara Cristalli - una tra le più importanti è quella di una vera apertura delle menti al nuovo».

Il richiamo al nuovo, alla modernità, al cambiamento (senza mai qualificare né indirizzare queste parole) ha assunto le forme di una nuova ideologia. Ma dietro a questi termini si nasconde invece quasi sempre un approccio che di moderno, di innovativo, di nuovo ha davvero assai poco. O meglio che si riallaccia, pensando all’innovazione, a meccanismi che stanno ancora invece in una dinamica che alla luce del mondo di oggi, appaiono quantomeno inadeguati. Essendo fondamentalmente legati a progressioni quantitative, e avulsi invece dalla domanda di sostenibilità sociale ed ambientale.

Anche nel sondaggio di cui riporta oggi i risultati il sociologo Enrico Finzi (sul sole24ore), condotto tra un campione di 2200 persone dai 15 anni in su, emerge una fotografia dell’orientamento verso l’innovazione nel nostro paese, che va tutta nella direzione dei consumi.
La maggioranza degli intervistati, ovvero il 29% del campione, si dice favorevole all’innovazione riguardo ai consumi. Quindi potremo concludere all’innovazione indotta da chi produce beni che poi devono essere venduti sul mercato e acquisitati, quindi, per far crescere il fatidico pil (oltre naturalmente ai profitti delle aziende che li hanno prodotti).

Servono a riorientare l´economia verso la sostenibilità? Hanno un qualche effetto nel migliorare la qualità della vita? Non importa. Sono nuovi, rappresentano innovazione tecnologica, fanno moda e fanno crescere il pil, ergo vanno bene.
Dalla stessa indagine emerge anche un 23% di intervistati che è favorevole al cambiamento tout court quindi disposti loro stessi ad assumersi i rischi dell’innovazione, se ne deduce da un punto di vista economico-finanziario.
Ma verso quale innovazione? Quella che si interroga sulle problematiche del pianeta con sopra i suoi abitanti e cerca di dare a questi problemi alcune risposte, oppure ancora una volta quella che risponde solo alla logica incrementale dei mercati?

Oppure (e invece) è innovazione e progresso pensare a sviluppare “modi” per ridurre l’insicurezza ambientale e sociale e rioentare, quindi, i finanziamenti in ricerca e sviluppo verso progetti che abbianmo come criterio direttore la sostenibilità?

«La fornitura di due beni pubblici, ambiente e conoscenza, contrariamente a quanto si ritenga normalmente, può rappresentare il motore della crescita futura» scrive Jaean Paul Fitoussi. Che è un economista. «La protezione sociale non è carità, ma assicurazione, cioè garanzia sui rischi e stimolo all’innovazione» scrive ancora Fitoussi. E lo è ancor di più in un mondo globalizzato, dove la domanda di protezione dovuta all’insicurezza sociale, ambientale ed economica è divenuta la principale delle richieste cui la governance mondiale (che non c´è) deve dare risposte.

E quanta (e quale, appunto) innovazione può esserci nell’affrontare la sfida di dare risposte a queste domande?
«Il fornire beni pubblici globali, come la salute, la scolarizzazione, l’ambiente e l’energia dovrebbe generare crescita» sostiene Fitoussi. Certo una crescita, questa , solo parzialmente misurabile con gli insuficienti indicatori che compongono il Pil, come la maggiore aspettativa di vita dei bambini che vivono sulla costa toscana, rispetto quelli, meno fortunati, che nascono a Firenze. Dove pure si è registrato uno 0,2% in più del Pil.

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