[05/03/2007] Comunicati

L´ambientalismo nel nuovo Partito democratico

ROMA. Nella accesa discussione sul futuro partito democratico, sono entrati nel merito anche Massimo Scalia e Gianni Mattioli, fondatori del Movimento ecologista e ispiratori dell’appello degli ambientalisti per il nuovo progetto politico.

Nell’articolo uscito ieri su L’Unità, viene indicata dagli autori la necessità di un progetto che si dimostri assolutamente innovativo e in grado di reggere la sfida, non tanto dell’alternanza tra uno schieramento e l’altro, ma di quella che i cambiamenti globali, del clima, della società e dell’economia a scala planetaria, impongono anche alla politica nostrana. E che disegni anche uno scenario che stimoli l’interesse e l’emozione in una società piuttosto scettica rispetto alla politica attuale.

Si dice infatti che «La speranza affidata alla nascita del Partito democratico è, al contrario, che esso rappresenti una proposta alla società italiana di cambiamento profondo, legato a progetti analoghi che avanzano in Europa e si confrontano nel mondo del secolo nuovo, che non può più essere letto con gli occhi del secolo scorso» e che «Solo da una comune ricerca può nascere quel pensiero nuovo di cui abbiamo bisogno per capire e governare i grandi cambiamenti nei quali siamo immersi». Ma nell’articolo gli autori lamentano che «tuttavia di questo travaglio e di una prospettiva così fortemente asseverata, nel Manifesto per il Partito Democratico uscito nei giorni scorsi dal gruppo di lavoro non c’è la risonanza attesa»

Abbiamo allora chiesto a Massimo Scalia di approfondire con noi il tema.

Un po´ di pessimismo?
«No pessimismo no. E’ che sappiamo, noi del Manifesto ecologista che da quando ci siamo prefissi l’obiettivo di far contare la sfida della sostenibilità dentro il partito nuovo dell’Ulivo, ormai da sei -sette anni, che la strada è sempre stata in salita e ha anche comportato qualche battaglia persa. Come per esempio un restringimento dell’area di riferimento iniziale. Ma credo che abbia ancora molto senso la presenza di movimenti e di riferimenti ambientalisti, che sembrano la garanzia essenziale per evitare che un operazione politica - che ritengo di grande interesse per il paese - si riduca a quello che in molti temono di una “fusione fredda” di ceti politici».

Questo pensiero nuovo di cui parlate nell’articolo si ritrova nel Manifesto del PD?
«La nostra presunzione è che ricco delle elaborazioni cultural-politiche di organizzazioni quali quella del movimento dei lavoratori, quella del cattolicesimo democratico e del laicismo progressista, il PD fondi la sua azione e cultura politica sulla ineludibile tematica della sostenibilità. Presunzione, perché pensiamo di avere molto da dire in questo senso e non siamo certo delle new entry! Modestamente quando siamo stati dentro il parlamento e il governo, abbiamo ottenuto qualche risultato. Per fare solo un esempio, il fatto che la difesa del suolo venisse considerato una priorità economica e una grande opera pubblica per il paese al pari e più delle grandi infrastrutture, è nato da un mio contributo che si tradusse nella finanziaria 99-2001 in quasi 3.000 miliardi di vecchie lire».

Lei è tra gli ispiratori dell’appello degli ambientalisti per il PD, ma come pensa che questo appello possa trasformarsi in “pensiero nuovo” nella costruzione del nuovo progetto politico?
«Se nel farsi di questo partito nuovo a partire dall’assemblea costituente ci sarà spazio per le idee e le persone che rappresentano questa “centralità” come l’hanno definita Rutelli e Fassino nell’assemblea dell’ 8 febbraio scorso».

Il tema energia ad esempio non dovrebbe essere il fulcro attorno al quale scrivere le strategie politiche ed economiche?
«Assolutamente si, e nel manifesto sembra che invece vi sia addirittura un passo indietro anche rispetto a un sindaco di Roma che nella celebrazione del ventennale di Cernobyl, lo scorso anno, rivendicò per le politiche energetiche del risparmio e delle fonti pulite un ruolo cardinale della sostenibilità».

Quindi il manifesto dovrà essere quantomeno integrato?
«Il manifesto è un bel documento di grande sensibilità ma ha gli occhi troppo rivolti a quella predominante cultura storico umanistica che è certo una ricchezza dell’Italia, ma che corre appunto il rischio di trarre dal passato e dal presente lezioni solo per pezzetti di futuro».

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