[08/03/2007] Consumo

La lista nera dei pirati della pesca

ROMA. La ventisettesima sessione della Commissione pesca della Fao (Cofi) sta discutendo a Roma della riforma degli organismi regionali con le autorità della pesca dei diversi paesi e, fino al 9 marzo, passerà in esame una serie di punti, soprattutto l’approccio ecosistematico della pesca e dell’acquacoltura, la pesca in acque profonde, le zone marine protette, i rischi prodotti dagli attrezzi di pesca perduti o abbandonati, la lotta contro la pesca illegale. E proprio su questo ultimo punto è intervenuta Greenpeace, presentando alla Commissione Fao la lista nera mondiale Stanno saccheggiando i fondali oceanici. Sono le navi pirata che nessun governo al mondo ha intenzione di fermare.

Greenpeace lancia oggi la prima "lista nera" mondiale che scheda le navi da pesca illegali. «E´ un’industria fiorente – spiega Greenpeace - con un giro d´affari di 9 miliardi di dollari e un effetto devastante sulle riserve ittiche e sulla biodiversità di alcune delle aree ecologicamente più importanti degli oceani».

Per Alessandro Giannì, responsabile della campagna mare di Greenpeace «il fatto che Greenpeace debba pubblicare una lista nera mondiale delle navi che praticano pesca illegale dimostra chiaramente che i governi non fanno nulla per fermare il saccheggio dei nostri oceani. Quello che serve ora è un organismo che renda accessibili le informazioni sulle navi da pesca illegali. Sei anni dopo l’approvazione da parte dei paesi membri della Fao di un Piano di azione internazionale per contrastare la pesca illegale, il problema è ben lontano dall’essere risolto».

La lista nera di Greenpeace elenca decine di navi da pesca pirata: ben 13 sono senza nazionalità, mentre gli Stati che si distinguono in questa lista nera sono l’Indonesia e la Russia con 6 imbarcazioni, seguiti dal piccolo Togo con 5, poi ci sono Panama, Georgia, Guinea equatoriale con 4 navi pirata ed a seguire: Cina, Cambogia, Papua Nuova Guinea con 3; Corea del Nord, Guinea Conakry ed Uruguay 2, Francia, Guatemala, Sierra Leone, Liberia e Columbia 1 ciascuna. Si tratta spesso di navi con bandiere ombra, piccoli stati che danno alle grandi potenze pescherecce il permesso di distruggere le loro risorse per un pugno di dollari, rubli o yen, ma come si vede non mancano i pirati di grandi stati come la Russia, la Cina o addirittura la Francia.

Il rapporto di Greenpeace dimostra come le misure volontarie adottate dai governi per limitare la pesca pirata abbiano avuto un impatto limitato sulla pesca illegale, soprattutto nelle aree più povere: «l’anno scorso – spiegano gli ambientalisti - la nave di Greenpeace "Esperanza" passò due mesi a documentare le attività delle flotte straniere di fronte alle coste della Guinea Conakry, scoprendo che quasi la metà delle 92 navi da pesca incontrate stava pescando illegalmente o era legata a attività di pesca illegale. Si stima che l’Africa subsahariana perda, per questo motivo, circa un miliardo di dollari all’anno».

«Le misure necessarie per contrastare la pesca pirata sono ben note. C’è bisogno di agire a tutti i livelli della filiera, dalla rete in acqua agli scaffali dei supermercati - conclude Giannì - Cooperazione internazionale, leggi vincolanti sul controllo nei porti, così come un registro mondiale delle navi da pesca e adeguate sanzioni, sono tra gli strumenti che i governi devono mettere in campo subito».

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