[20/03/2007] Urbanistica

Ferruzza, per il paesaggio subito la convenzione europea e l´intesa Rutelli-Martini

FIRENZE. «Riguardo alla tutela ambientale credo che ormai il discrimine sia uno solo: chi vuole affidare la tutela a un organo centrale e chi invece alla responsabilità dei Comuni. C´è chi, come noi, reputa la prima scelta improponibile, chi reputa tale la seconda». Sono le parole di Claudio Martini pronunciate ieri durante la presentazione della proposta di fare di Firenze il Centro europeo del paesaggio. E il tema sollevato da Martini è quello che si evince dalla lettura dei giornali di questi giorni e sul quale abbiamo intervistato Fausto Ferruzza, direttore di Legambiente Toscana.

Ferruzza, la tutela del paesaggio va affidata allo Stato e quindi centralizzata, oppure è d’accordo con Martini?
«Bisogna fare una premessa. Con la modifica del titolo V della Costituzione del 2001, il governo del territorio è passato di fatto alla competenza legislativa delle singole regioni, ma i principi più importanti della tutela sono rimasti in capo allo Stato. Bisogna richiamare i principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza per chiarire come l’antinomia Stato versus Comune sia in realtà un falso problema. Il nuovo art. 118 della Costituzione della Repubblica recita infatti: “La legge statale disciplina forme di coordinamento fra Stato e Regioni (...) e disciplina inoltre forme di intesa e coordinamento nella materia della tutela dei beni culturali”. Quindi i principi generali della tutela sono responsabilità precipua dello Stato; la pianificazione territoriale e la valorizzazione dei beni culturali e paesaggistici sono in capo agli Enti Locali. Secondo appunto il criterio non gerarchico della differenziazione e della adeguatezza della propria mission istituzionale».

Quindi è lo Stato che detta le regole generali?
«Certamente. Una volta stabilita la cornice, gli enti locali dovranno semplicemente declinare le proprie politiche di pianificazione e valorizzazione entro certi limiti di plausibilità giuridica e istituzionale. Vi saranno naturalmente una serie di vincoli, come alcune potenzialità. Come dire: a ciascuno il suo ruolo. Dallo Stato alle Regioni, dalle Province al più piccolo dei Comuni».

Ma allora perché oggi questo schema pare obiettivamente in crisi?
«I casi di Monticchiello, Castagneto Carducci, Montescudaio, etc. sono tutti casi che hanno avuto un iter procedurale lunghissimo e che oggi sono arrivati a compimento dopo lustri di gestazione. Sono il risultato deteriore di un’intera generazione di piani regolatori comunali che tra la fine degli anni Ottanta e i primissimi anni Novanta, ha determinato incrementi assai significativi dell’edificazione, molto al di là delle previsioni del trend demografico. Spesso oggi arrivano a convenzione progetti (fatti maldestramente passare attraverso la scorciatoia della Variante allo strumento urbanistico vigente) che furono concepiti venti anni fa. Progetti obsoleti, nati vecchi. Sbagliati nel merito e nel metodo».

E dunque come si esce da questa situazione? E su quello che è già in corso di realizzazione cosa si può fare?
«Per il futuro ci sono due speranze. La prima è l’applicazione e il recepimento autentico della Convenzione europea del paesaggio (che fu siglata peraltro nell’autunno del 2000 proprio a Firenze). Che tra le molte cose importanti che declama, impone l’obbligatorietà della redazione dei piani paesaggistici regionali. Ecco, la seconda speranza. L’occasione della fondamentale intesa Rutelli/Martini sul paesaggio non va assolutamente persa. Questo è il momento per monitorare l’intero territorio regionale. Schedarne gli ambiti paesaggistici omogenei. Capirne in profondità le più peculiari caratteristiche. In vista di vincoli precisi e stringenti. E di una gamma limitata ma trasparente di potenzialità entro cui declinare lo sviluppo sostenibile delle comunità locali. Per i tristi cascami del passato, che dire?! Alcuni anni fa Fiesole ebbe il coraggio d’impugnare concessioni già convenzionate, esponendosi a dolorosi contenziosi amministrativi. Non rimane che augurarsi che molti altri comuni abbiano lo stesso coraggio. E in ogni caso in alcune vertenze, occorre avere la trasparenza e l’onestà intellettuale per esigere la demolizione degli ecomostri realizzati».

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