[23/03/2007] Comunicati

Cinquant´anni d´Europa per riorientare lo sviluppo

LIVORNO. L’Europa si appresta a celebrare il 50esimo anniversario, da quando con i trattati di Roma, sei paesi (Italia, Francia, Germania, Belgio, Olanda e Lussemburgo) diedero vita all’embrione di quella che sarebbe divenuta l’Unione a 27. Tanti infatti sono i paesi che aderiscono alla comunità dal primo gennaio di quest’anno, ventitré le lingue ufficiali. Domenica gli attuali ventisette leader europei saranno chiamati ad approvare la “Dichiarazione di Berlino”: un documento che parte dalle radici del passato per affrontare le difficili sfide del futuro. Preparato dalla presidenza tedesca, il documento si chiude con il riconoscimento che «l’Europa è la nostra buona fortuna». E sottolinea come la ricchezza dell’Europa che risiede nella conoscenza e nelle competenze dei suoi cittadini, «è la chiave per la crescita, l’occupazione e la coesione sociale».

Un’Europa che ha sicuramente fatto grandi passi avanti da quei trattati, e che ha cercato faticosamente di trovare un suo ruolo- anche se in maniera non sempre efficace – smarcandosi da una visione di governo unipolare del mondo, attorno all’unica potenza globale rimasta, gli Usa. Un’Europa che fatica a trovare un punto di equilibrio, a crescere in maniera omogenea su quelle “fondamenta comuni” cui richiama la “dichiarazione di Berlino”.

Anche per il continuo allargamento, che rischia di accentuare la natura di mercato economico comune piuttosto che quella di luogo di condivisione civile, sociale, politica. Che pure esiste e che ha saputo coniugare le tradizioni che ne hanno caratterizzato il proprio passato, con le istanze più contemporanee. Uscita dal novecento con il suo carico di guerre e di pagine tragiche per la storia dell’umanità, l’Europa ha saputo ricostruire un tessuto democratico e sta cominciando a muoversi in una direzione originale. Adesso la costruzione di un soggetto politico unitario che abbia anche una sua autonoma proiezione politica sullo scenario internazionale, può porre le basi concrete per la realizzazione di un governo globale che abbia maggiori caratteristiche di democrazia e partecipazione, rispetto a quello attuale.

Un soggetto che potrebbe avere anche un ruolo preminente nel riorientare le politiche globali verso la sostenibilità; anche per perseguire quella “crescita, occupazione e coesione sociale” richiamate nel documento di Berlino. La visione ambientalista è infatti oggi l´unica che può consentire al tempo stesso di contrastare il problema del surriscaldamento del pianeta e delle conseguenze che questo determinerà e un pacifico allargamento del benessere su scala planetaria, evitando una, altrimenti ineludibile, contesa sull´uso delle risorse.

Mai come oggi, infatti, le questioni ambientali sono al centro delle sfide politiche ed economiche. L´uso delle risorse, in primo luogo delle risorse energetiche, è divenuto ormai il perno su cui ruotano le questioni geopolitiche e dei conflitti internazionali.
Il cambiamento climatico è una realtà quotidiana, non solo per le popolazioni e per le aree del pianeta più marginali, ma per l’Europa stessa. E senza chiamare in causa le più pessimistiche tra le previsioni, già è evidente che sarà una eredità assai pesante per le prossime generazioni.

L’Europa ci sta provando. Si è assunta il ruolo unilaterale di mantenere gli impegni di Kyoto quando era a 15. Ha ribadito l’intenzione di andare avanti su questa strada adesso che si è allargata a 27. E con l’accordo raggiunto recentemente dal Consiglio europeo dei capi di Stato e di governo, impegna gli stati aderenti all’Unione, a raggiungere in via obbligatoria entro il 2020, un obiettivo di riduzione dei gas climalteranti del 20% rispetto ai valori del 1990; ad incrementare il risparmio energetico del 20% e il ricorso alle energie rinnovabili pari al 20% dei consumi, rispetto all’attuale quota del 7%.

E gioca a conquistarsi con queste scelte, non solo la concreta possibilità di impostare tra i suoi paesi membri una politica energetica che punti al risparmio e all’implementazione dell’uso delle rinnovabili, ma soprattutto di svolgere un ruolo chiave per l’obiettivo di ampliare la partecipazione alle iniziative in atto per affrontare i cambiamenti climatici secondo il principio della responsabilità comune, differenziata negli oneri.

Coinvolgere quindi anche i Paesi come gli Usa e l’Australia che sino ad ora si sono rifiutati di sottoscrivere il protocollo di Kyoto e far partecipare al tavolo dei negoziati del dopo Kyoto anche Cina, India e Brasile. Segnali importanti, che indicano l’aver intrapreso il cammino su una strada giusta. Avanti allora e tanti auguri Europa!

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