[26/03/2007] Recensioni

La Recensione. Il supermarket di Prometeo di Marcello Cini

Non è un libro che si legge tutto d’un fiato questo. Fra prologo, parti, capitoli, epilogo e appendici, sono 445 pagine dense di concetti e riferimenti che è possibile gustare solo conoscendo i fondamentali della sostenibilità sociale e ambientale. Ricercatore in fisica teorica, professore emerito dell’Università La Sapienza, studioso di storia della scienza e di epistemologia, Marcello Cini è definibile come uno dei padri nobili dell’ambientalismo scientifico.
In questo testo spazia da una illustrazione divulgativa delle categorie della conoscenza, all’universo delle leggi naturali e al mondo della complessità; dall’analisi dell’evoluzione delle società umane alle nuove tecnologie; dalla descrizione dell’economia della conoscenza agli interrogativi sul futuro dell’umanità, terminando, sicuramente non a caso, con il riassunto dei punti chiave del pensiero di Freud sul sogno e sul suo obbedire ad un insieme di regole diverse da quelle del pensiero cosciente.

Il libro parte da una riflessione sulle grandi narrazioni del novecento e sul conflitto fra capitale e lavoro che lo ha attraversato per osservare che “tutti i protagonisti di questo conflitto………hanno avuto un fondamento comune costituito da due premesse. La prima………..era l’assunzione della possibilità di una crescita illimitata della produzione di beni materiali….La seconda….era la convinzione che questa crescita avrebbe portato di per se a un progresso materiale e culturale delle condizioni di vita dell’umanità intera……..Entrambe queste premesse si sono rivelate errate” e questo fallimento è alla base della crisi che il mondo sta vivendo attualmente. La citazione di Parmenide ed Eraclito ( nulla cambia o tutto cambia) esprime bene, continua ad esprimere bene, i due punti di vista che si confrontano su ciò che accade attorno a noi (conservare-innovare) ed evidenzia come la complessità sia, dopo tutto, un concetto ancora ignorato.

Ma il fatto che sia ignorata la complessità porta ad ignorare anche il fatto che “in un sistema isolato ( quale è il pianeta in cui viviamo, ndr) l’entropia non può mai diminuire……..e questa crescita fissa dunque la freccia del tempo termodinamico”. Insomma, per dirla semplificando: c’è una usura della casa che abitiamo che rimette oggettivamente in discussione le grandi narrazioni senza con ciò negare la validità parziale, ma sottosistemica, di queste. Quali che siano i punti di vista sul ruolo della scienza e della conoscenza, su quello della ricerca e della tecnologia, è assolutamente evidente che l’idea per la quale “non si può capire il mondo senza andare al supermercato” cozza frontalmente con il fatto che “l’iriducibilità della storia a fattori strutturali discende dal numero iper-astronomico di vie a priori percorribili le quali possono dare origine a diverse combinazioni possibili”. E queste vie percorribili a priori, sia che siano ricondotte alla sfera dell’innato (genoma), sia che facciano riferimento alla sfera dell’appreso (ambiente), sia che si consideri che natura e cultura siano un intreccio di cui è inutile stabilire cosa prevalga, non possono non tenere di conto, appunto a priori, che il rischio di collisione con il sistema sovraordinato ( la casa che abitiamo) sta nelle possibilità che nessuna scoperta scientifica può eliminare.

Tanto più se il rapporto fra scienza, tecnologia e società viene declinato esclusivamente verso la competitività di mercato. Castells infatti, citato da Cini, con la sua monumentale opera (La nascita della società in rete; Il potere delle identità; Volgere di millennio/ Università Bocconi Editore) evidenzia bene che “il passaggio dall’industrialismo all’informazionalismo non costituisce l’equivalente storico della transizione delle economie agricole a quelle industriali, né è possibile equipararlo all’economia dei servizi. Ciò che è cambiato non è il tipo di attività che impegna l’umanità, ma la sua abilità tecnologica nell’impiegare come forza produttiva diretta ciò che contraddistingue la nostra specie come eccezione biologica: la sua superiorità capace di elaborare simboli”. E questo ha portato allo sviluppo graduale di un mercato finanziario globale interdipendente fra i suoi centri di potere ma indipendente dai poteri democratici. Anzi questi secondi tendono ( quando non lo sono già) ad essere sottomesi ai primi. E’ in questo modo che “la conoscenza diventa merce e la sua produzione viene sottratta ai giudizi di valore e sottomessa unicamente alle leggi di mercato, e dunque all’inesorabile ( ed unica) logica del profitto”.

Ma è proprio questa logica che, senza una guida a priori, ( senza il ripristino di una guida a priori, ndr), “senza erigere un argine ai ritmi attuali di consumo delle risorse non rinnovabili e di produzione di rifiuti, tra i quali spicca, per importanza e urgenza, la produzione di anidride carbonica”, può portare in pochi decenni l’ecosistema al crollo. E, se è certo che non ci salveranno le dinamiche autonome dell’economia, è improbabile che ci riescano anche le dinamiche autonome della società. Non è detto che finisca come finì nell’Isola di Pasqua (che si autodistrusse attraverso lo sfruttamento eccessivo delle sue risorse e il cannibalismo) ma è dubbio anche che “i tanti uomini e donne di buona volontà” ( di cui Cini vede l’avanguardia nel movimento new global – perché la dizione no-global la trova una sciocchezza-) possano invertire la tendenza senza porsi, contemporaneamente, due temi ineludibili (l’uno funzionale all’altro): a) quale organizzazione collettiva; b) come si inferisce sugli attuali poteri globali a-democratici ( FMI; BM; WTO) per costruirne di nuovi, democratici e al livello globale. Organizzazione, potere e democrazia per la sostenibilità sociale e ambientale dunque. A Fukujama può dispiacere ma……la storia non è (ancora) finita.

Torna all'archivio