[29/03/2007] Comunicati

Pietro Greco su trasformazione, salvaguardia, politica e sostenibilità

LIVORNO. Torniamo anche oggi sulla discussione se il movimento ambientalista debba collocarsi tra istanze di salvaguardia e di conservazione o invece provare a misurarsi in un processo di trasformazione in chiave ecologica, con la necessaria interlocuzione con la controparte sia istituzionale sia economica. Su quale è o debba essere il ruolo stesso della politica nei processi di trasformazione della società. E lo facciamo con Pietro Greco (Nella foto), giornalista scientifico, scrittore e direttore del master in comunicazione della scienza al Sissa di Trieste.

«Partirei da un esempio concreto che sta alla base di una discussione in corso a Napoli tra una parte dell’amministrazione comunale, alcuni ambienti tecnico scientifici della città e lo stesso Ministro dell’ambiente. L’esempio riguarda la presenza a Bagnoli di un’area di deindustrializzazione dove prima c’era l’Italsider e altre fabbriche tra cui l’Eternit produttrici di sostanze pericolose e che, andate via, hanno lasciato un territorio contaminato. Adesso si tratta di ristabilire un futuro per quest’area e in particolare intorno a una colmata, fatta di materiali inerti e probabilmente inquinanti. La discussione è se rimuovere questa colmata come previsto anche dal Piano regolatore (c´è in piedi anche l´ipotesi di mandarla Piombino, ndr), o lasciarla come testimonianza del passato, mettendola in sicurezza. I fautori della prima ipotesi pongono come argomento fondante il ritorno all’antico paesaggio e alla linea naturale di costa, mentre chi sostiene l’altra opzione dice che quella colmata rappresenta la più grande terrazza sul mare che c’è nel golfo e quindi potrebbe essere sfruttata anche a fini turistici. Altri dicono di lasciare decidere ai tecnici e vedere quale, dal punto di vista ambientale ed economico, sia la scelta migliore. Tutte queste ipotesi hanno punti di forza e di debolezza: tornare allo stato di natura ha scarso senso, perché non esiste più e non tiene in conto della dinamica evolutiva del rapporto con l’uomo. Conservare la terrazza può avere un fondatezza, se si dimostra che non rappresenta, dopo la messa in sicurezza, un pericolo per l’ambiente e la salute, e la terza è una soluzione che non tiene conto della politica, cioè di cosa si vuole fare di quell’area. Il giusto equilibrio va affrontato attraverso il ruolo della politica. Anche nell’ottica dello sviluppo sostenibile, il bilancio non è mai a costo zero e quindi le decisioni possono essere assunte solo dalla politica perché è solo in quella sede che si può trovare il punto di equilibrio più sostenibile. Che ovviamente è metastabile e quindi transitorio, rispetto ai tempi in cui si sviluppa. Questo ci obbliga in continuazione a fare scelte impegnative, dove c’è anche il rischio di sbagliare ma la politica non può derogare ad altri questa scelta».

E la partecipazione, in questo scenario, dove si colloca?
«Tutte queste scelte vanno fatte in un processo di democrazia ecologica, che è uno degli aspetti della moderna democrazia e che non bisogna confondere con un assemblearismo perpetuo. La partecipazione non deve mai essere dimenticata e i cittadini devono concorrere alla scelte. Ma le istituzioni poi devono fare la loro parte. Ciascuno deve concorrere nel suo ambito alla formulazione delle scelte che devono essere compiute e non diluite nel tempo. Questo succede dappertutto ma a differenza dell’Italia in molti paesi del nord i processi di negoziazione sono istituzionalizzati, questo spiega ad esempio perché nel fronte francese della Tav non ci sono state proteste».

Ma in Francia le scelte sono molto centralizzate.
«Sì la partecipazione è istituzionalizzata poi definiti tutti i passaggi alla fine le decisioni vengono prese. Non possiamo ondeggiare continuamente sull’assemblearismo permanente. Le scelte finali sono sempre di mediazione, e questo è il ruolo della politica. Il conflitto va composto».

Usando l’esempio di Bagnoli si può affrontare bene il tema della trasformazione economica dall’industria all’impresa del mattone, cosa ne pensa?
«Che è un altro errore economico con molti aspetti di tipo ecologico. Bagnoli ci aiuta. Quando cesso una economia di tipo manifatturiero, non posso pensare di trasformarla in una nuova economia basata sul turismo, quelli che si fanno avanti sono i palazzinari. Proprio a Bagnoli esiste una clamorosa contraddizione che è esplosa quando è stato fatto il piano regolatore, una decina di anni fa da Vezio de Lucia, che prevede uno sviluppo del terziario, turismo sulla fascia costiera e nella parte interna una economia immateriale su industrie basate sulla conoscenza. Questo è un progetto molto valido, solo che è nata già la “città della scienza” grazie a Vittorio Silvestrini che ha recuperato anche in maniera ecologicamente molto valida blocchi di vecchia costruzione, che prima erano fabbriche. Con una parte a museo della scienza e dall’altra un gruppo di imprese che cercano di fare della divulgazione della scienza qualcosa di più complesso, tentando la strada dell’economia immateriale. Nuovo sviluppo economico. Ma proprio una parte di questo corpo di fabbrica cade nella zona più prospiciente al mare e il piano regolatore prevede che in questa parte tutte le vecchie strutture vengano abbattute. Quindi anche in questo caso si dovrebbe trovare un punto di equilibrio, tenendo conto che il turismo non è l’unica risposta possibile alla deindustrializzazione, per quanto ben realizzato. Serve anche un nuovo modo di produrre».

Utilizzando il criterio direttore della sostenibilità è possibile trovare questo punto di equilibrio?
«Non solo è possibile ma è assolutamente necessario. Ma non esiste una sostenibilità ecologica slegata da una sostenibilità sociale. E non esiste una società fuori dall’economia. I vincoli economici fanno parte della sostenibilità sociale. Non possono essere l’unico elemento dirimente ma non ne possono prescindere e visto che siamo in una economia di mercato con questa ci si deve confrontare. Tenendo conto che il mercato è cieco sia nella redistruibuzione del reddito, sia dal punto di vista ecologico, ancora una volta è la politica che deve regolare il mercato e non il contrario. Ancora una volta è il primato della politica che deve prevalere».

E quale deve essere in questo processo il ruolo della associazioni ambientaliste?
«È un ruolo estremamente importante, che ha portato anche in Italia i temi della sostenibilità nell’agenda politica. Noto che c’è una certa tendenza al protagonismo partitico, alla carriera politica istituzionale. Alla lunga se questo processo è molto diffuso crea confusione. Sarebbe più chiaro se rimanesse un ruolo di denuncia e di proposta distaccato dai partiti. Come nei confronti del mercato. Il dialogo deve essere incessante, ma altro è entrare come azionisti in una grande impresa e cercare di guidare dall’interno le scelte, diventando coazionista. Devono dare forte e chiaro indirizzi di come l’economia deve muoversi, ma rimanendo corpo a parte».

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