[30/03/2007] Comunicati

Francois Lafond: Lo sviluppo sostenibile per modernizzare la politica

LIVORNO. Alcune settimane fa il Centre for european reform (Cer) di Londra e Glocus di Roma hanno presentato in anteprima a Roma la nuova edizione della pubblicazione "The Lisbon Scorecard", che valuta i progressi fatti e gli obiettivi raggiunti dai singoli Stati-membri dell’UE nelle riforme economiche previste dall’agenda di Lisbona, e - tema di uguale importanza - analizza ciò che ancora rimane da fare.
Sull’agenda di Lisbona in effetti ci sono diverse riflessioni da fare. Partendo dalla considerazione che quando nacque, nel 2000 non teneva in minima considerazione i temi della sostenibilità, temi, che sono stati aggiunti successivamente, ma che ancora oggi scontano una limitatezza: si fa riferimento esclusivamente all’energia e. E la sostenibilità non è solo energia.

Ne abbiamo parlato con Francois Lafond, professore associato di scienze politiche a Parigi e consigliere politico del minstero degli Esteri. Nonché responsabile internazionale di Glocus, think tank indipendente (creato e presieduto da Linda Lanzillotta) che attraverso progetti e proposte per l’innovazione e la modernizzazione economica, sociale e istituzionale dell’Italia, mira a promuovere il dibattito e il confronto, per fornire alla “politica” idee per le politiche.

Lafond, voi avete lavorato molto sull’Agenda di Lisbona, qual è l’attenzione alla sostenibilità che propone?
«Partiamo purtroppo da questa considerazione: l’ambiente nell’agenda di Lisbona in origine non è stato messo al centro dell’attenzione. Questi criteri relativi alla sostenibilità sono stati tutti aggiunti dopo, perché il primo testo dell’agenda di Lisbona era prettamente economico e sociale, mentre su insistenza di alcuni paesi nordici in particolare che chiedevano più attenzione al concetto di sviluppo sostenibile rispetto a una crescita generica, sono stati aggiunti alcuni parametri soprattutto sul fronte dell’energia».

Non pensa che siano parametri solo legati all’energia e lascino da parte le tematiche più complessive legate alla sostenibilità?
«Si, in parte è vero. Però ricordiamoci anche che questi pilastri sono stati attivati con l´Agenda di Lisbona e che nuovi obiettivi più precisi sono stati riaffermati soltanto ora. E anzi forse potremmo dire che ne sono stati propedeutici. La presidenza europea con la Merkel ha alzato l’attenzione su questi temi durante l´ultimo consiglio europeo di marzo e mi sembra importante ricordare i tre obiettivi fissati per il 2020: riduzione del 20% delle emissioni di gas serra; 20% di energie rinnovabili sull’insieme della produzione; 20% di riduzione del consumo energetico.
Affermazioni fondamentali perché la stessa Merkel ha deciso di portare i temi ambientali ed energetici anche al G8, che in effetti è la platea più adatta: sono temi questi che vanno letti in ottica mondiale sulla base del protocollo di Kyoto. Perché è giusto tenere obiettivi molto alti ma è giusto anche sapere che se non si coinvolgono anche i Paesi non firmatari creeremo situazioni di concorrenza sleale fra le nostre imprese, portatrici di handicap, e le altre».

L’Agenda di Lisbona, così come è oggi, quale ruolo può avere in questa fase?
«L’Agenda di Lisbona può e deve essere sicuramente migliorata. Io sarei favorevole ad aumentare le iniziative in un’ottica di maggiore protezione dell’ambiente, ma capisco che dobbiamo far coincidere questi obiettivi anche con la competitività della nostra economia. E purtroppo il nostro concetto di sviluppo sostenibile non è lo stesso della Cina e dell’India, ma neppure degli Stati Uniti e del Canada. Io però procedo a piccoli passi e in questo momento penso all’Italia che è molto in ritardo sugli obiettivi europei rispetto a Germania, Francia, Inghilterra. Noi di Glocus abbiamo proprio la mission di attirare l’attenzione dei politici anche sui temi dello sviluppo sostenibile, perché riteniamo che sarebbe un segno di modernizzazione della vita politica italiana e del Paese nel suo insieme».

Non pensa che l’Agenda di Lisbona potrebbe aiutare a fare un passo in avanti, al di là dell’energia? Pensiamo a un impegno sul fronte non solo della riduzione degli sprechi di energia, ma anche su quello dei flussi di materia.
«Da questo punto di vista in Italia manca la coscienza della classe politica. Prendiamo per esempio il caso dei rifiuti. Quello che in Europa si fa ovunque e da tempo, la differenziazione dei rifiuti, in Italia incontra sempre grosse difficoltà. E questo perché qui è mancata la pedagogia a livello politico e di conseguenza la sensibilizzazione a livello sociale».

Come risparmio di materia intendevo riferirmi a una riduzione alla fonte, nella fase di produzione del bene, esattamente come per l’energia.
«Ma qui si ritorna al discorso che facevo pocanzi. Una situazione del genere si realizza solo in due condizioni: ovvero se c’è stata coscienza politica per mettere pressione sul sistema produttivo, cioè aiutare l’imprenditore a produrre un prodotto più sostenibile. Secondo: un grande sforzo a riconvertire sistema produttivo.
Per questo ho fatto riferimento al dopo, perché nella situazione in cui siamo è molto più semplice ridurre dopo. In altri Paesi europei la svolta c’è stata prima e spinti dalla classe politica gli imprenditori hanno cercato di adattare i prodotti all’interesse dell’opinione pubblica».

Glocus può avere un ruolo in questa auspicabile svolta?
«Certo, noi dobbiamo da una parte tentare di organizzare eventi e influire sulla stampa e sui media divulgando questi temi che sono fondamentali per il futuro.
Inoltre dobbiamo riuscire a convincere e rendere consapevole prima di tutto la classe politica italaiana che non c’è antagonismo tra sviluppo economico e protezione dell’ambiente. Lo sviluppo sostenibile sarà sempre di più sovrapponibile alla crescita economica. Nel lungo periodo l’obiettivo sarà infine quello di adattare il sistema produttivo a questi nuovi imperativi.
Io però sono piuttosto pragmatico, per cui prima di tutto cerchiamo di portare a casa gli obiettivi energetici che ci siamo dati come Europa. Poi potremo pensare a riorganizzare il sistema produttiva integrando la sostenibilità come fanno i paesi nordici. Se lo fanno loro lo possiamo fare anche noi».

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