[10/04/2007] Rifiuti

Amianto: nessuno lo vuole ma qualcuno se lo piglia

LIVORNO. Case, edifici pubblici, scuole e fabbriche per anni sono state costruite con larghissimo uso di amianto. Nell’inconsapevolezza che – con il suo deterioramento e conseguente sfogliamento – questo minerale, presente anche in natura, provocasse danni gravissimi alla salute primo fra tutti il mesotelioma. Da quando, per legge (datata 1992 il cui decreto applicativo è uscito nel 1994), l’amianto è stato messo al bando, la battaglia si è comprensibilmente concentrata sul risarcimento danni dei lavoratori che si sono ammalati, o delle loro famiglie nei casi di morte, o di coloro che comunque hanno svolto la loro professione a contatto con quel materiale. La questione seria però è che mentre su questo terreno – più o meno – negli ultimi anni si sono fatti passi da gigante, nulla o quasi si fa – in termini di finanziamenti – per evitare che il problema si ripeta. Le fabbriche, le scuole, gli edifici pubblici, e pure tantissime case, sono infatti ancora piene di amianto. E ogni giorno arrivano notizie come quella odierna proveniente da Montevarchi, dove Fabio Monaci, consigliere di Rifondazione Comunista, dopo aver segnalato la presenza di amianto vicino alla stazione, indica un altro possibile hot point amianto nei pressi del cimitero.

Non solo, si è alzata anche la voce preoccupata dei cittadini nei pressi dell’ex teatro Impero dove alcune parti della copertura, realizzata in fibre di amianto, verserebbero in pessime condizioni di salute. E di queste situazioni (anche quando non assurgono agli onori delle cronache) veramente ce ne sono in quantità per tutta la Toscana e l’Italia.

Ma cosa possono fare le istituzioni? «L’unico strumento che il comune può azionare - ha detto il sindaco di Montevarchi - è l’ordinanza per la tutela della salute pubblica, da utilizzare solo in caso di pericolo. In realtà, è estremamente difficile effettuare controlli all’esterno. Non esiste una norma che preveda l’obbligo di sostituzione (in realtà questo è vero solo per le strutture private, non per gli edifici pubblici o aperti al pubblico per i quali sono invece previsti per legge sia i censimenti che gli interventi, ndr), perciò occorre agire nei casi dove sussistono effettive condizioni di degrado. Il nostro obiettivo è censire, con l’azienda sanitaria e l’Arpat, i manufatti a rischio presenti sul territorio, monitorare le loro condizioni di manutenzione e coinvolgere i proprietari in un’autodichiarazione su eventuali modalità di intervento».

La questione, quindi, è assai seria perché è ovvio che se non si mette mano a questo problema si continuerà solo e soltanto a risarcire i danni ex post e sperare che nel frattempo qualcuno, a spot, piano piano bonifichi gli edifici magari dopo segnalazioni o proteste. Una situazione pessima alla quale va aggiunto il nodo tutt’altro che sciolto del dove poi quell’amianto si deve smaltire.

Il piano regionale dei rifiuti speciali e pericolosi prevede che ogni discarica esistente abbia un modulo apposito per l’amianto, ma nessuno o quasi lo rispetta. Chi prova a dare soluzione a questo problema solleva un vespaio. Si grida alla bomba ecologica anche quando l’amianto – come previsto per legge – si sotterra, soluzione dagli esperti definita come la migliore possibile in quanto l’amianto, essendo un minerale naturale, sotto terra torna appunto a fare il minerale.

Così ci troviamo in uno scenario dove tutti i finanziamenti sono concentrati nel risarcimento danni e non nelle bonifiche, inoltre, quando le bonifiche in qualche modo si fanno non si riesce quasi mai a chiudere il ciclo in loco ma si è costretti – a costi elevati – a portare il materiale altrove. E questo nel migliore dei casi, negli altri lo si scarica nei campi o nei boschi o sulle spiagge. Il paradosso è che lo si sopporta di più lì, che in dicariche controllate...

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